Un film di Philippe Falrdeau
Con
Fellag, Sophie Nélisse, Danielle Poulx, Jules Philippe. Emilien
Néron
Titolo
originale: Bachir Lazhar
Genere:
drammatico
Durata:
94 min.
Sceneggiatura:
Philippe Falardeau
Produttore:
Luc Déry, Kim McCraw
Casa
di produzione: Microscope Productions, Les Films Seville Pictures
Montaggio:
Stefan Lafleur
Musiche:
Martin Léon
Canada
2012
di
Chiara Roggino
La
musica di Martin Léon scivola lenta sui titoli di testa mentre un
rullo di pittura color azzurro pallido ricopre a nuovo le pareti
dell’aula scolastica. E’ qui che Martine Lachance si è tolta la
vita, è qui che ella ha forse voluto comunicare “un messaggio
violento”. “Ma non si può punire Martine Lachance perché
Martine Lachance è morta”.
Philippe
Falardeau
e Monsieur
Lazhar
mettono davanti allo specchio l’infanzia e la cruda realtà di una
prematura dipartita cercata e voluta tramite un atto di mera
disperazione. E’ qui che interverrà il neo-maestro di scuola
Bachir: un uomo tra i tanti, un “diverso”, rifugiato politico da
terra algerina. Ad Algeri “La blanche” egli ha perso quanto più
amava: la moglie e le due figlie. “Crisalidi” inermi prenderanno
fuoco in un attentato terroristico. L’uomo, ex funzionario, poi
proprietario di un ristorante, è solo in terra straniera: un’algida
Montreal, coperta da una spessa coltre di neve. Lazhar (uno
straordinario Fellag),
uomo d’estrema cultura, si improvviserà insegnante per raccogliere
l’eredità della moglie, per ritrovare nella fragilità dei suoi
allievi la tenerezza delle figlie strappategli via con la forza.
Il
pluripremiato Philippe Falardeau è stato recentemente incluso da
Variety 2012 all’interno della lista dei 10 cineasti da tenere
d’occhio. Noto per “La moitié gauche du frigo”, “Congorama”,
e “C’est pas moi, je le jure!”, il suo quarto lungometraggio,
Monsieur
Lazhar (
candidato all’oscar 2011 quale miglior pellicola straniera), è un
adattamento dalla pièce teatrale “Bachir Lazhar” scritta da
Évelyne de la Chenelière. Dice Falardeau: “Sono
stato toccato dal protagonista. Ho pensato che fosse un personaggio
ricco e che avrebbe potuto essere abbastanza ricco per un film. Mi
interessava la questione riguardante l’immigrazione e volevo
utilizzarla internamente al percorso filmico. Non necessariamente per
parlare di immigrati, anche se avrei voluto farlo, ma per raccontare
noi stessi attraverso gli occhi di un immigrato. Il film si svolge in
una scuola e discorre un po’ su chi siamo e dove siamo, ma
attraverso gli occhi di qualcuno che ha origini diverse”.
Il
cineasta franco-canadese scrive una sceneggiatura a partire da zero
mettendo in atto un investimento creativo non sottovalutabile.
Internamente all’allestimento filmico si viene a trovare vis à vis
con un protagonista, un carattere forte. Il momento della creazione
si dipana attorno a lui. C’è bisogno di tensione drammatica per
sostenere l’interesse del pubblico. L’allievo protagonista di
Monsieur
Lazhar
( Simon) è totalmente assente dallo spettacolo teatrale pertanto il
rapporto che ha intrecciato con l’ex insegnante e il suo successivo
senso di colpa non fanno parte della messa in scena teatrale.
Falardeau aggiunge così personaggi e situazioni accanto al
personaggio principale.
Da
quanto si vede nella pellicola in Canada un insegnante di scuola
muore e un uomo qualunque si presenta dicendo: “Io posso insegnare”
e viene assunto all’istante. Nel sistema educativo privato e nelle
scuole private il “principale” è praticamente un dittatore. Egli
può assumere chiunque gli aggradi. Naturalmente la preside compie un
errore madornale. Ma se non lo avesse fatto non avremmo avuto alcuna
storia. Monsieur Lazhar dice la verità al funzionario
dell’immigrazione e al tempo stesso insegna “abusivamente” in
una scuola. E lo fa per buone ragioni. Egli sa di poter aiutare i
“suoi” bambini, ma ha anche un bisogno intimo, fisico, di
trovarsi in quel determinato luogo. E’ un insegnante “accidentale”.
E’ triste che alla fine non possa rimanere nella scuola, ma al
tempo stesso il personaggio non è stato concepito per essere un
insegnante per il resto della sua vita. In quel particolare momento
egli rappresentava la persona giusta al momento giusto.
In
qualsiasi luogo si abbia a che fare con numerosi enti sociali ( i
genitori, il Ministero della Pubblica Istruzione, consiglio
scolastico, insegnanti) si ha la necessità di un numero infinito di
regole. Si cerca di prevedere tutto quel che può accadere e tutto
diviene estremamente rigido. La preside e gli altri insegnanti non
vogliono parlare della morte perché non vogliono sopraffare i
bambini. Cosa che è già accaduta. Si ha anche questa esigenza:
utilizzare specialisti per tutto, invece di usufruire della persona
che è lì ogni giorno con loro, l’insegnante, per parlare di morte
e suicidio. Nel film è la psicologa ad entrare in aula e a mettere
da parte Lazhar nonostante il maestro non creda sia una buona idea.
L’uomo ritiene che dovrebbe spettare a lui soltanto il compito di
discutere con i bambini. E’ questione di fiducia nel potere delle
parole e della comunicazione.
La
fine del film è la correzione di una favola. Questo sarà il modo di
Lazhar per dire addio alla classe. Attraverso un nuovo atto di
insegnamento e comunicazione egli potrà accomiatarsi. Allora la
piccola Alice deciderà spontaneamente di tornare in classe. La bimba
ha bisogno di un abbraccio, vuole un abbraccio: lei lo chiede e
Bachir contraccambia. Il gesto appare quasi un atto di ribellione:
recarsi in un luogo e trasgredire un tabù, fare ciò per cui tutto
ha avuto inizio. E’ stato presumibilmente un abbraccio a dare il
via al dramma : un abbraccio tra Simon e la sua insegnante.
Dice
Falardeau a proposito di Fellag e della scelta che lo ha condotto a
farne il protagonista del suo film: “E’
divertente perché è un cabarettista. Mi è piaciuto il suo aspetto.
Sono andato a vederlo a teatro. L’ho ascoltato. Egli ha dovuto
abbandonare il suo paese a causa della guerra nel 1990. In tal modo
conosceva intimamente il carattere del protagonista e ho pensato che
avrei potuto utilizzarlo nel film. E’ anche un autore. Scrive
romanzi e ha una grande sensibilità. Siamo diventati amici. Non era
esattamente quel che stavo cercando in termini di “prestazione”.
Era troppo teatrale per me. Un giorno mi disse: “So che pensi che
io sia troppo teatrale, ma lavorerò duramente per questo film”.
Così mi ha convinto . Come Bachir Lazhar anche Fellag non ha voglia
di parlare troppo del suo passato, anche con i giornalisti. Non vuole
che diventi un onere per le persone attorno a lui. Ha bisogno di
tagliare i ponti con il suo passato per andare avanti”.