Un
film di Tomas Alfredson
Con
Gary Oldman, Kathy Burke, Colin Firth, Benedict Cumberbutch, David
Dencik, Stephen Grahm, Tom Hardy, John Hurt, Toby Jones, Jared Harris
Titolo
originale: Tinker Tailor Soldier Spy
Genere:
Spionaggio, thriller
Soggetto:
John le Carré (romanzo)
Produzione:
Tim Bevan, Eric Fellner, Robyn Slovo, Alexandra
Ferguson
Casa
di produzione: StudioCanal, Working Title Films
Produttore
esecutivo: Liza Chasin, Ron Halpern, Debra Hayward,
John le Carré, Peter Morgan, Douglas Urbanski
Montaggio:
Dino Jonsater
Musiche:
Alberto
Iglesias
Scenografia:
Maria Djurkovic
di
Chiara Roggino
Ogni
pedina ha un volto, ogni volto i suoi lineamenti: facce riportate in
vita dalla vigile memoria dell’agente MI6 a riposo Smiley. Tinker
tailor soldier spy. Al Circus (epico quartiere di Londra dove le
Carré ambienta la sede dei servizi segreti inglesi), la sala
riunioni è un non luogo in un non tempo. Le pareti dipinte a
scacchiera architettano bizzarri giochi prospettici. Un’atmosfera
sospesa, claustrofobica. Nella stanza-scacchiera personaggi ambigui
discutono animatamente. Ritagliati in primi piani, spesso ripresi di
tre quarti, si osservano l’un l’altro. Percy Alleline, Bill
Haidon, Roy Bland, Toby Hesterhase. Chi tra loro è la talpa, la spia
infiltrata da Karla (nome in codice del capo KGB russo) ai vertici
del Circus? E’ il 1973 e in piena guerra fredda l’indagine viene
affidata dal primo ministro inglese al semi-pensionato George Smiley.
Fuori dalla ‘famiglia’, il vecchio Smiley sembra essere il più
adatto a sciogliere l’arcano e aggiudicarsi la partita.
Datato
1974, “Tinker tailor soldier spy”, conosciuto in Italia come “La
talpa”,è opera dello scrittore britannico John le Carré ( “ The
spy who came in from the cold “, “The honourable schoolboy”, “
The Russia house”, “The tailor of Panama “, “The costant
gardener “). Nel 1979 “Tinker, tailor, soldier, spy”
sarà una miniserie tv per la regia di John Irving, protagonista uno
straordinario Alec Guinness nelle vesti di George Smiley.
Nel
2011 lo svedese Tomas Alfredson (“Lasciami entrare”, 2008)
traduce per il grande schermo la “partita a scacchi” condotta da
un agente segreto molto umano e poco supereroe, lontano anni luce
dallo stereotipo-Bond partorito dalla creatività di Ian Fleming
(spia affascinante, sicura di sé, sprezzante del pericolo). Cammina
quasi in punta di piedi l’agente Smiley. Spera di passare
inosservato.
Un
signore inglese anonimo e dimesso con una sfortunata vita
sentimentale (sua moglie Ann non brilla per fedeltà). Occhiali
spessi, vigile e sempre all’erta: quasi un grosso animale notturno.
Come dice la moglie: “Un uomo capace di adattare la sua temperatura
corporea a quella della stanza in cui si trova”.
Alfredson
non ha dubbi. L’unico attore capace di incarnare l’imperfetta
umanità di Smiley è Gary Oldman. L’attore
britannico gioca di sottrazione facendo del suo agente in congedo un
personaggio apparentemente distaccato per una mimica facciale
inavvertibile, quasi assente. Di contrasto sarà lo sguardo ad essere
mobile, a non perdere una mossa. Lo stesso Oldman paragonerà il suo
personaggio a un gufo: “grande ascoltatore e enorme osservatore”.
L’umana fragilità di Smiley apparirà manifesta in uno dei
monologhi più intensi del film. L’agente racconta a Peter Guillam
del suo unico incontro avvenuto con Karla nel 1955. Pochi minuti e il
protagonista si concede alla parola, accantonando per un istante il
mestiere di ascoltatore-uditore.
Le
emozioni trasudano a fiotti per una recitazione che delega gli occhi
a latori emozionali: dilatati, lucidi, offuscati dai ricordi.
Alfredson allestisce nel cuore dell’indagine una nicchia protetta a
dar parola all’umanità di Smiley, a mettere in luce le doti di un
interprete superlativo. Oldman regala al suo pubblico
un’interpretazione regale.Le
parole riportano l’uomo in un passato che pare toccarsi con mano,
un limbo fuori dal tempo in cui l’agente britannico può conversare
con Karla così come una volta. Smiley si rivolge, quasi in trance,
al suo interlocutore immaginario: un dialogo vis à vis con un vuoto
mai così pieno e compreso di persone e significati. “ Non siamo
così diversi io e te. Entrambi abbiamo passato la vita a cercare
debolezze l’uno nel sistema dell’altro. Non credi che c’è
qualcosa di buono sia nel tuo lato che nel mio?”. Poi torna in
sé, al tempo presente.
Non
dite ad Alfredson che il suo è un film di spie. Si altererebbe e non
poco. Cosa succede quando l’identità pubblica si scontra con la
sfera privata? Quante maschere siamo in grado di indossare per
mantenere integra la nostra reputazione? Da questo plot
filopirandelliano, un film robusto, mai prolisso. Una pellicola che
si avvale di un montaggio impeccabile: tassello dopo tassello,
incastro dopo incastro, a realizzare il mosaico perfetto.
A
fine partita, individuato il colpevole, riparata la falla nel sistema
di sicurezza del Circus, l’agente Smiley può occupare il posto che
gli spetta. Scacco matto.