Un film di
Sebastiàn Borensztein
Con Ricardo
Darin, Ignacio Huan, Muriel Santa Ana, Enric Rodriguez, Ivan
Romanelli
Titolo
originale: Un cuento chino
Genere:
commedia
Soggetto:
Sebastiàn Borensztein
Sceneggiatura:
Sebastiàn Borensztein
Produzione:
Pablo Bossi, Juan Pablo Buscarini, Gerardo Herrero, Axel
Kuschevatzky, Ben Odell
Produttore
esecutivo: Mariela Besuievski
Casa di
produzione: Pampa Film
Distribuzione
italiana: Archibald Film
Fotografia:
Rolo Pulpeiro
Montaggio:
Fernando Pardo, Pablo Barbieri Carrera
Musiche:
Lucio Godoy
Scenografia:
Laura Musso
Costumi:
Angela Ortuno, Alejandra Albert
Argentina
2011
“Cina,
provincia di Fusheng. Una mucca cade dal cielo e provoca una
tragedia”.
La vita di
Roberto, ferramenta a Buenos Aires, è organizzata su misura. Un tran
tran di rituali, piccole necessarie abitudini, non permette colpi di
scena. Se il giorno è dedicato alla conta di viti e bulloni, la sera
è tempo di lettura. Giornali e riviste da tutto il mondo, materia
prima ideale per stanare notizie bizzarre, fatti fuori
dall’ordinario: ottimi da inserire nella grande collezione. La luce
si spegne alle ore 23.00, non un un minuto prima, non un minuto dopo.
Ma basta poco per scatenare l’imprevisto nella vita dell’uomo: un
cinese scaraventato con forza fuori da un taxi, proprio davanti al
suo negozio. Jun non conosce una parola di spagnolo ed è alla
ricerca dello zio. Unico indizio ad agevolare la caccia al tesoro, un
indirizzo tatuato sul braccio. Roberto non digerisce le ingiustizie.
Risultato: il giovane cinese è accolto in casa dal burbero
argentino. La strana coppia si metterà alla ricerca del misterioso
zio con risultati a dir poco sorprendenti. (sinossi)
Al suo
primo film, Sebastiàn Borensztein (premio Marc’Aurelio d’Oro
come miglior pellicola al Festival Internazionale del Film di Roma
2011) regala al suo pubblico un piccolo gioiello: un film fatto di
niente, permeato di poesia. Una storia sull’accettazione delle
diversità che si fa canto dolceamaro narrando di sofferenza ed
esistenze in rinascita per una voglia di vivere nuova, piovuta dal
cielo. L’autore sussurra a voce limpida la sua morale: niente in
questa vita accade per caso. Un destino invisibile lega le nostre
esistenze una all’altra, quando meno ce l’aspettiamo.
Borensztein
trova il suo Roberto nello sguardo malinconico dell’attore Ricardo
Darin, già protagonista de “Il segreto dei suoi occhi” (premio
oscar quale miglior film straniero nel 2011). Qualcuno, a ragione,
l’ha rivestito dell’appellativo di Buster Keaton argentino.
Gestualità minimale, una recitazione calibrata in sottrazione per
una performance generosa tra sorrisi appena accennati e improvvisi
rabbuiamenti.
Roberto,
immigrato italiano, burbero dal cuore tenero, è un abbattuto dalla
storia, un reduce di guerra (il breve accenno alle Falkland bene
esprime i presupposti per un’esistenza azzerata in età acerba). La
sua “non vita” non ha senso giacché per lui nulla nella vita ha
un senso. Da ferite tanto profonde, una sopravvivenza priva di
emozioni forti e grandi responsabilità che si esprime per tic e
rituali insopprimibili. Cercando di mantenere sempre il controllo,
nonostante tutto. La grigia routine è spazzata via all’improvviso,
quando da un taxi viene scaraventata un’altra vita, ugualmente
segnata per diverso dolore. Ignacio Huan è delizioso
nell’interpretare lo spaesato Jun, artista che si ritrova suo
malgrado a svolgere lavori di bassa manovalanza presso il negozio di
Roberto. Un’espressione stampata sul viso, tra stupore, paura e
perpetuo smarrimento, Jun sarà per Roberto diversivo, occasione per
un dialogo diverso dal soliloquio: una comunicazione essenziale fatta
di gesti e reciproci scambi di mimica facciale.
Tra
intarsi-omaggio al cinema di Jean-Pierre Jeunet (a “Il favoloso
mondo di Amelie”, in particolare), microstorie surreali a rimarcare
le qualità di un intreccio altrettanto stravagante, le vicende dei
due protagonisti si dirigono verso l’agognato epilogo a lieto fine.
Come nella migliore tradizione fiabesca, a volte ciò che sembra non
possedere un senso, rivela un significato profondo, nascosto ai più.
La felicità spesso proviene da orizzonti inaspettati.