Un film di David Cronenberg
Con Jeremy Irons, John Lone
Durata: 101 min.
Genere: Drammatico
Soggetto: David Henry Hwang
Sceneggiatura: David Henry Hwang
Fotografia: Peter Suschitzky
Montaggio: Ronald Sanders
Musiche: Howard Shore
Scenografia: Carol Spier
Costumi: Denise Cronenberg
USA 1993
di Chiara Roggino
Sul palcoscenico,
ai piedi dell'attore, uno
specchio, cerone e
spugna, rossetto e matita, morbida crema color sangue. Alle sue
spalle un paravento: carta di giornale, foglio dopo foglio, strato
dopo strato. Un piccolo registratore a margine della pedana. L'uomo
preme il pulsante. Tutt'intorno
si diffondono le note inconfondibili della “Madama Butterfly”:
“Un bel dì vedremo”.
Il
rito del trucco, preparazione irrinunciabile per l'interprete:
cancellare il volto sì che paia nascosto oltre un bianco cereo;
evidenziare la maschera, lo sguardo, di rosso carminio.
L'attore
dispiega un telo. Al suo interno una parrucca scura. L'afferra,
indossandola istintivamente. Poi la bocca. La donna,
specchio alla mano, tinge le
labbra con cura.
Questo,
il suo monologo: “Vedo che mi conoscete... perché?
Perché sono una celebrità. Io faccio ridere la gente... ho fatto
ridere la Francia intera... Ma se solo poteste capire, non ridereste
affatto. Potrebbe essere il contrario: uomini come voi dovrebbero
bussare alla mia cella e implorarmi di rivelare i miei segreti.
Perché io, René Gallimard, ho conosciuto e sono stato amato dalla
perfezione fatta donna. Da tanti anni ho una visione dell'oriente:
donne esili, coperte da kimono, che muoiono per amore di immeritevoli
diavoli stranieri. Donne nate e allevate per diventare compagne
perfette, donne che sopportano qualunque punizione da noi inflitta,
amanti ideali e pronte a tornare al loro posto, sostenute da un amore
incondizionato. Anime candide e rare. Questa visione è diventata per
me ragione di vita. Il mio errore è stato semplice e assoluto.
L'uomo che amavo non era degno, non meritava nemmeno un altro
sguardo. E invece gli ho dato il mio amore, tutto il mio amore.
L'amore ha ottenebrato il mio giudizio, accecato i miei occhi, tanto
che ora, guardando nello specchio, io non mi vedo. Ho una visione
dell'oriente. Vedo che dentro i suoi occhi a mandorla ci sono ancora
donne, donne disposte a sacrificare la propria vita per amore di un
uomo, anche di un uomo il cui amore sia assolutamente privo di
valore. Morire con onore è meglio che vivere nel disonore. Così,
alla fine, in una prigione, lontano dalla Cina, io l'ho trovata. Mi
chiamo René Gallimard, conosciuto anche come Madama Butterfly”.
Tra
gli applausi scroscianti di un pubblico di detenuti, Gallimard
afferra lo specchio e, non visto, ripiegato su se stesso, si taglia
la gola. Una pozza di sangue, goccia dopo goccia, allaga il
palcoscenico. L'uomo è rivoltato supino da una guardia carceraria.
Troppo tardi. M. Butterfly si è tolta la vita.
David
Cronenberg, “filosofo esistenzialista” ( così ama
autodefinirsi), dopo un esordio segnato da due cortometraggi, è qui
alla sua undicesima regia. Il film precedente, “Il pasto nudo”,
protagonista Peter Weller, era la cronistoria di un mondo
tossicomane,
visionario e allucinatorio, percepito dagli occhi di Bill Lee,
aspirante romanziere. Una pellicola sul pericoloso mestiere
dello scrivere.
Il
cineasta canadese non si smentisce. Dalla sua, costantemente, uno
scavo anatomico, “de profundis”, del corpo umano. Esso è
portatore apparentemente immune dei mali di vivere contemporanei:
inquietudine profonda, follia, insicurezze al limite del patologico.
Con
“M. Butterfly” l'autore torna al tema della trasformazione
fisico-psichica, allestendo un excursus eros e thanatos: percorso che
condurrà i due protagonisti al più spaventoso tra i finali di
tragedia.
1964.
Cina, Beijing. Il diplomatico parigino René Gallimard (un perfetto
Jeremy Irons per una recitazione monocorde solo in apparenza, tutta
occhi) viene trasferito in
oriente insieme alla moglie per incarico dell'ambasciata francese.
Durante una festa, assiste ad una performance della “Madama
Buttterfly” di Puccini, interpretata da una nota cantante
dell'opera di Pechino, Liling Song (John Lone). Perdutamente
ammaliato dal fascino esotico e vagamente androgino della donna e
nonostante le prime resistenze da parte di lei, l'uomo riesce a
sedurla. Egli ignora ( o rifiuta di comprendere) che la cantante è
in realtà un uomo nonché una spia del neo governo maoista. Quando
una notte René, ubriaco, le chiede di mostrarle il corpo da sempre
tenuto nascosto, la donna gli rivela di essere incinta.
Gallimard
viene rimpatriato a Parigi. E' il 1968. Dopo anni di attesa, Liling
si ripresenta alla porta del suo appartamento. Qualche tempo dopo,
tre uomini attendono il diplomatico sotto casa.
René
è a tutti gli effetti traditore dello Stato Francese per aver
intrattenuto una relazione con un uomo
al servizio delle Guardie Rosse. Rinchiuso in prigione, il detenuto
mette in scena il suo ultimo spettacolo. Assume le sembianze di una
donna, presentandosi al pubblico come Madama Butterfly, truccata e
abbigliata di kimono. Terminato il suo monologo, René si toglie la
vita, uccidendo quell'illusione perpetrata troppo a lungo (“Meglio
morire con onore che vivere nel disonore”). L'uomo si recide la
gola con uno specchio mentre il signor Song, in preda alla
disperazione, viene ricondotto in Cina.
Temi
portanti della pellicola cronenberghiana: maschera e volto, apparenza
e realtà. Da parte di René, la volontà cieca di rifiutare
l'evidenza. Sua la costruzione mentale di un amor fou, ideale e
illusorio. Ne è prima testimonianza la scena ambientata alla festa
in cui il diplomatico incontra Liling per la prima volta. A partire
da una ripresa a mezzo busto dell'uomo, l'autore zoomma su un primo
piano illuminandone lo sguardo, creando una maschera abbagliante di
luce sul volto del protagonista: una benda che obnubila la mente e
appanna lo sguardo.
Inconsciamente
René ha sempre saputo. Un velo ha offuscato ragione e intelletto:
meglio dar vita al sogno di un amore assoluto per dar senso a una
misera esistenza, priva di significato.
Solo
per un breve istante, dopo il primo rapporto con Liling, l'uomo si
affaccia alla presa di coscienza del vero. Gallimard, uscito
dall'abitazione della cantante, è ripreso in mezzo primo piano. Lo
sguardo attonito, carico di presagi.
Cronenberg
scarnifica dall'interno i suoi personaggi portandone alla luce apatie
esistenziali, difficoltà nei rapporti di coppia, frustrazioni
sessuali. In “M.Butterfly” rivelatrice è l'inquadratura della
moglie del diplomatico francese: figura femminile bella e algida a
rappresentare le nefandezze e le frigidità del mondo borghese
occidentale. Simbolica e perfetta l'immagine della donna che utilizza
a mo' di ventaglio la rivista “Elle” ( è René stesso a
porgergliela) accennando il motivo “Un bel dì vedremo”.
Gallimard consegna il ventaglio alla
moglie: suo è l'evidente ed estremo tentativo di ritrovare nella
donna la stessa passione erotica provata per Liling la sera della
festa. L'immagine della coppia riflessa allo specchio è simulacro,
surreale e spaventoso, di due estranei costretti a condividere lo
stesso letto.
René
è un uomo insicuro sotto ogni punto di vista. L'autore lo fa muovere
attraverso ambienti claustrofobici, schiaccianti, simmetricamente
opprimenti ( vedi i locali dell'ambasciata francese e la stessa
dimora di Liling). Egli viene inizialmente descritto come semplice
contabile, prima della promozione a vice console.
Il
rapporto schiava-padrone inventato con l'ausilio di Liling lo farà
sentire onnipotente così da creare dal nulla ulteriori fantasie: il
popolo vietnamita, secondo l'uomo, si assoggetterà di buon grado al
dominio americano poiché gli orientali trovano eccitanti i costumi
dei loro invasori.
Ma
nel reale scontro tra oriente e occidente, sarà l'imperialista a
soccombere.
La
cantante si innamorerà sinceramente di Gallimard.
L'androgina
creatura ( una
libellula: metafora
della trasformazione e della mutazione di ciò che è solo in
apparenza) svolge attività di spionaggio per salvarsi dal regime
maoista che a breve condannerà gli artisti ai lavori forzati,
promuovendo un nuovo teatro popolare.
Impeccabile
il piano sequenza dal basso verso l'alto a rendere una panoramica del
campo di lavoro. Terminato il suo percorso, la cinepresa si
soffermerà a inquadrare la figura di Liling (tappeto sonoro: le note
pucciniane).
Scoperte
le carte, René si rifiuterà di vedere ( “L'amore
ha ottenebrato il mio giudizio, accecato i miei occhi, tanto che ora,
guardando nello specchio, io non mi vedo”). Quando la sua
Butterfly si spoglierà,
Gallimard, in preda alla disperazione, cercherà rifugio oltre le
sbarre della camionetta carceraria. “Tu non mi hai mai amato
veramente”, lo accuserà Song. L'uomo cerca di convincere l'ex
amante che, al di là della propria natura corporea, è sempre stato
lo stesso. Ma il diplomatico rinnega il suo passato. “Come hai
potuto? Tu che mi conoscevi così bene, commettere un errore così
grande? Perché mostrarmi chi sei realmente? Quello che ho amato era
un'illusione, una magnifica illusione che ormai si è dissolta”.