giovedì 12 luglio 2012

M. Butterfly






Un film di David Cronenberg
Con Jeremy Irons, John Lone
Durata: 101 min.
Genere: Drammatico
Soggetto: David Henry Hwang
Sceneggiatura: David Henry Hwang
Fotografia:  Peter Suschitzky
Montaggio:  Ronald Sanders
Musiche: Howard Shore
Scenografia: Carol Spier
Costumi: Denise Cronenberg
USA 1993


di Chiara Roggino


 
Sul palcoscenico, ai piedi dell'attore, uno specchio, cerone e spugna, rossetto e matita, morbida crema color sangue. Alle sue spalle un paravento: carta di giornale, foglio dopo foglio, strato dopo strato. Un piccolo registratore a margine della pedana. L'uomo preme il pulsante. Tutt'intorno si diffondono le note inconfondibili della “Madama Butterfly”: “Un bel dì vedremo”.
Il rito del trucco, preparazione irrinunciabile per l'interprete: cancellare il volto sì che paia nascosto oltre un bianco cereo; evidenziare la maschera, lo sguardo, di rosso carminio.
L'attore dispiega un telo. Al suo interno una parrucca scura. L'afferra, indossandola istintivamente. Poi la bocca. La donna, specchio alla mano, tinge le labbra con cura.
Questo, il suo monologo: “Vedo che mi conoscete... perché? Perché sono una celebrità. Io faccio ridere la gente... ho fatto ridere la Francia intera... Ma se solo poteste capire, non ridereste affatto. Potrebbe essere il contrario: uomini come voi dovrebbero bussare alla mia cella e implorarmi di rivelare i miei segreti. Perché io, René Gallimard, ho conosciuto e sono stato amato dalla perfezione fatta donna. Da tanti anni ho una visione dell'oriente: donne esili, coperte da kimono, che muoiono per amore di immeritevoli diavoli stranieri. Donne nate e allevate per diventare compagne perfette, donne che sopportano qualunque punizione da noi inflitta, amanti ideali e pronte a tornare al loro posto, sostenute da un amore incondizionato. Anime candide e rare. Questa visione è diventata per me ragione di vita. Il mio errore è stato semplice e assoluto. L'uomo che amavo non era degno, non meritava nemmeno un altro sguardo. E invece gli ho dato il mio amore, tutto il mio amore. L'amore ha ottenebrato il mio giudizio, accecato i miei occhi, tanto che ora, guardando nello specchio, io non mi vedo. Ho una visione dell'oriente. Vedo che dentro i suoi occhi a mandorla ci sono ancora donne, donne disposte a sacrificare la propria vita per amore di un uomo, anche di un uomo il cui amore sia assolutamente privo di valore. Morire con onore è meglio che vivere nel disonore. Così, alla fine, in una prigione, lontano dalla Cina, io l'ho trovata. Mi chiamo René Gallimard, conosciuto anche come Madama Butterfly”.  




 
Tra gli applausi scroscianti di un pubblico di detenuti, Gallimard afferra lo specchio e, non visto, ripiegato su se stesso, si taglia la gola. Una pozza di sangue, goccia dopo goccia, allaga il palcoscenico. L'uomo è rivoltato supino da una guardia carceraria. Troppo tardi. M. Butterfly si è tolta la vita.





David Cronenberg, “filosofo esistenzialista” ( così ama autodefinirsi), dopo un esordio segnato da due cortometraggi, è qui alla sua undicesima regia. Il film precedente, “Il pasto nudo”, protagonista Peter Weller, era la cronistoria di un mondo tossicomane, visionario e allucinatorio, percepito dagli occhi di Bill Lee, aspirante romanziere. Una pellicola sul pericoloso mestiere dello scrivere.
Il cineasta canadese non si smentisce. Dalla sua, costantemente, uno scavo anatomico, “de profundis”, del corpo umano. Esso è portatore apparentemente immune dei mali di vivere contemporanei: inquietudine profonda, follia, insicurezze al limite del patologico.
Con “M. Butterfly” l'autore torna al tema della trasformazione fisico-psichica, allestendo un excursus eros e thanatos: percorso che condurrà i due protagonisti al più spaventoso tra i finali di tragedia.
1964. Cina, Beijing. Il diplomatico parigino René Gallimard (un perfetto Jeremy Irons per una recitazione monocorde solo in apparenza, tutta occhi) viene trasferito in oriente insieme alla moglie per incarico dell'ambasciata francese. Durante una festa, assiste ad una performance della “Madama Buttterfly” di Puccini, interpretata da una nota cantante dell'opera di Pechino, Liling Song (John Lone). Perdutamente ammaliato dal fascino esotico e vagamente androgino della donna e nonostante le prime resistenze da parte di lei, l'uomo riesce a sedurla. Egli ignora ( o rifiuta di comprendere) che la cantante è in realtà un uomo nonché una spia del neo governo maoista. Quando una notte René, ubriaco, le chiede di mostrarle il corpo da sempre tenuto nascosto, la donna gli rivela di essere incinta.
Gallimard viene rimpatriato a Parigi. E' il 1968. Dopo anni di attesa, Liling si ripresenta alla porta del suo appartamento. Qualche tempo dopo, tre uomini attendono il diplomatico sotto casa.
René è a tutti gli effetti traditore dello Stato Francese per aver intrattenuto una relazione con un uomo al servizio delle Guardie Rosse. Rinchiuso in prigione, il detenuto mette in scena il suo ultimo spettacolo. Assume le sembianze di una donna, presentandosi al pubblico come Madama Butterfly, truccata e abbigliata di kimono. Terminato il suo monologo, René si toglie la vita, uccidendo quell'illusione perpetrata troppo a lungo (“Meglio morire con onore che vivere nel disonore”). L'uomo si recide la gola con uno specchio mentre il signor Song, in preda alla disperazione, viene ricondotto in Cina.
Temi portanti della pellicola cronenberghiana: maschera e volto, apparenza e realtà. Da parte di René, la volontà cieca di rifiutare l'evidenza. Sua la costruzione mentale di un amor fou, ideale e illusorio. Ne è prima testimonianza la scena ambientata alla festa in cui il diplomatico incontra Liling per la prima volta. A partire da una ripresa a mezzo busto dell'uomo, l'autore zoomma su un primo piano illuminandone lo sguardo, creando una maschera abbagliante di luce sul volto del protagonista: una benda che obnubila la mente e appanna lo sguardo.
Inconsciamente René ha sempre saputo. Un velo ha offuscato ragione e intelletto: meglio dar vita al sogno di un amore assoluto per dar senso a una misera esistenza, priva di significato.
Solo per un breve istante, dopo il primo rapporto con Liling, l'uomo si affaccia alla presa di coscienza del vero. Gallimard, uscito dall'abitazione della cantante, è ripreso in mezzo primo piano. Lo sguardo attonito, carico di presagi.
Cronenberg scarnifica dall'interno i suoi personaggi portandone alla luce apatie esistenziali, difficoltà nei rapporti di coppia, frustrazioni sessuali. In “M.Butterfly” rivelatrice è l'inquadratura della moglie del diplomatico francese: figura femminile bella e algida a rappresentare le nefandezze e le frigidità del mondo borghese occidentale. Simbolica e perfetta l'immagine della donna che utilizza a mo' di ventaglio la rivista “Elle” ( è René stesso a porgergliela) accennando il motivo “Un bel dì vedremo”. Gallimard consegna il ventaglio alla moglie: suo è l'evidente ed estremo tentativo di ritrovare nella donna la stessa passione erotica provata per Liling la sera della festa. L'immagine della coppia riflessa allo specchio è simulacro, surreale e spaventoso, di due estranei costretti a condividere lo stesso letto.
René è un uomo insicuro sotto ogni punto di vista. L'autore lo fa muovere attraverso ambienti claustrofobici, schiaccianti, simmetricamente opprimenti ( vedi i locali dell'ambasciata francese e la stessa dimora di Liling). Egli viene inizialmente descritto come semplice contabile, prima della promozione a vice console.
Il rapporto schiava-padrone inventato con l'ausilio di Liling lo farà sentire onnipotente così da creare dal nulla ulteriori fantasie: il popolo vietnamita, secondo l'uomo, si assoggetterà di buon grado al dominio americano poiché gli orientali trovano eccitanti i costumi dei loro invasori.
Ma nel reale scontro tra oriente e occidente, sarà l'imperialista a soccombere.
La cantante si innamorerà sinceramente di Gallimard.
L'androgina creatura ( una libellula: metafora della trasformazione e della mutazione di ciò che è solo in apparenza) svolge attività di spionaggio per salvarsi dal regime maoista che a breve condannerà gli artisti ai lavori forzati, promuovendo un nuovo teatro popolare.
Impeccabile il piano sequenza dal basso verso l'alto a rendere una panoramica del campo di lavoro. Terminato il suo percorso, la cinepresa si soffermerà a inquadrare la figura di Liling (tappeto sonoro: le note pucciniane).
Scoperte le carte, René si rifiuterà di vedere ( “L'amore ha ottenebrato il mio giudizio, accecato i miei occhi, tanto che ora, guardando nello specchio, io non mi vedo”). Quando la sua Butterfly si spoglierà, Gallimard, in preda alla disperazione, cercherà rifugio oltre le sbarre della camionetta carceraria. “Tu non mi hai mai amato veramente”, lo accuserà Song. L'uomo cerca di convincere l'ex amante che, al di là della propria natura corporea, è sempre stato lo stesso. Ma il diplomatico rinnega il suo passato. “Come hai potuto? Tu che mi conoscevi così bene, commettere un errore così grande? Perché mostrarmi chi sei realmente? Quello che ho amato era un'illusione, una magnifica illusione che ormai si è dissolta”.


 






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