Un
film di David Yates
Con
Daniel Radcliffe, Emma Watson, Helena Bonham Carter, Ralph Fiennes,
Rupert Grint, Maggie Smith, Alan Rickman, Ralph Fiennes, John Hurt,
Jim Broadment, David Thewlis
Durata:
130 min.
Genere:
Fantasy, azione
Soggetto:
J.K. Rowling (romanzo)
Sceneggiatura:
Steve Kloves
Produzione:
David Barron, David Heyman, J.K. Rowling
Casa
di produzione: Warner Bros, Heyday Films
Fotografia:
Eduardo Serra
Montaggio:
Mark Day
Musiche:
John Williams
Scenografia:
Stuart Craig
Costumi:
Jany Temime
Trucco:
Amanda Burns, Mark Coulier, Katy Fray, Shaune Harrison, Beth John,
Jenna Wyatt
Regno
Unito 2011
di
Chiara Roggino
Mentre i
fan più agguerriti sgomitano all’apertura dei ‘cancelli’
virtuali di POTTERMORE, proseguono le gesta del mago più celebre
d’Inghilterra. Con “Harry Potter and the Deathly Hallows: Part
II” si chiude il cerchio del progetto su grande schermo ideato per
seguire, dall’infanzia alla maturità, le orme dell’eroe
partorito dall’immaginazione di un’instancabile levatrice:
Katherine Rowling. L’avventura iniziò a concretarsi nel 2001,
quando Chris Columbus fu chiamato a dirigere il primo capitolo della
saga: “Harry Potter e la pietra filosofale”. Il progetto fu
supervisionato dalla stessa Rowling che dettò legge intorno al
casting e alla scelta dei ruoli principali. Gli attori, per una
dittatura campanilista sui generis, dal primo all’ultimo, saranno
tutti rigorosamente inglesi.
Avevamo
lasciato un Voldemort esultante presso la tomba di Silente, novello
padrone della bacchetta di sambuco. Così si concludeva il primo
capitolo di “Harry Potter e i doni della morte”. Harry Potter, il
prescelto, leader indiscusso della resistenza dei giovani ad
Howgarts, dovrà affrontare se stesso, immolandosi per la salvezza
del mondo magico. Al suo fianco Ron e Hermione, instancabili
aiutanti, amici di sempre.
Nella lotta
tra bene e male nulla è come sembra. Così lo spettatore non sarà
testimone delle gesta di personaggi granitici, in positivo o in
negativo. Davanti ai suoi occhi si dispiegheranno ampie zone grigie
dove bene e male sono mescolati indissolubilmente.
Per
l’ultima grande battaglia viene richiamato ad animare le truppe il
britannicissimo David Yates . Se Yates fosse o meno in grado di
portare a termine la sua missione, a quest’interrogativo che
pressava colossi quali la Heyday Films e la Warner Bros, siamo
riusciti a dare una risposta in questi ultimi mesi. Sì, Yates è
riuscito nell’impresa. Il film c’è ed è un solido prodotto
commerciale che non darà grattacapi per passività d’introiti
nella guerra ai botteghini.
In “Harry
Potter e i doni della morte – parte II” nulla possiamo
rimproverare alla confezione stilistica: la carta e il fiocco sono
d’eccellente qualità.
Quello su
cui ci preme insistere è la distanza che intercorre tra la
dimensione visiva (ciò che cattura lo sguardo, per intenderci) e
quella che concerne la narrazione pura.
Mai come in
questi ultimi anni e soprattutto in seguito all’avvento del 3D, il
cinema si è trasformato in luogo dove a spadroneggiare è la forza
dell’immagine. I nostri sensi sono interamente catalizzati a
catturar luci, forme, colori. E quando una scena si è conclusa siamo
immediatamente proiettati nella successiva coll’eccitazione del
bambino che si chiede “cosa accadrà adesso?”. Direttore della
fotografia è il portoghese pluricandidato all’oscar Eduardo Serra.
Il film si apre con una scena visivamente forte, pur senza abuso di
effetti speciali. Schiere di alunni in uniforme scura marciano nella
corte di Hogwarts: la prevaricazione del male e di Chi Non Può
Essere Nominato non è che agli inizi. L’impatto visivo possiede
un’efficace forza evocativa: nell’organizzazione della marcia dei
giovani di Hogwarts non facciamo fatica a riconoscere la maniacale
efficienza prodigata all’educazione giovanile ai tempi del Terzo
Reich. Non sono uomini e donne, pur giovani, ma truppe di soldati che
marciano seguendo gli ordini dei loro superiori. Serra riesce a concertare un’ atmosfera funebre su cui
dominano toni scuri e grigi spenti. Più tardi, tetre sagome si
staglieranno su sfondi cupi alternandosi ad inquadrature in cui
filtri blu spadroneggiano sulla cromaticità dell’immagine creando
fotogrammi d’atmosfere febbrili e inquietanti.
L’ultima
battaglia vedrà i guerrieri di pietra protettori di Howgarts
discendere dai piedistalli per passare all’azione. Quella
concertata nella scuola di magia, assume i tratti di una resistenza
partigiana contro l’orrore di un novello regime nazista, pronto a
riproporre le nefandezze e i crimini di un secondo olocausto.
In una
dimensione dominata dalla potenza dell’immagine, là dove lo
strumento narrativo ( spesso debole, fiacco, smorzato da improbabili
tagli di eventi e dialoghi necessari all’evoluzione della storia) è
subalterno al fenomeno visivo, prende vita un coro di molteplici
interpreti, attori di consolidata esperienza, alcuni, altri più
giovani, più goffi e impacciati ( Daniel Radcliffe, Rupert Grint,
Emma Watson).
Una su
tutte è necessario ricordare la superba prova drammatica fornitaci
da John Hurt, Olivander. Già nel primo capitolo, diretto da
Columbus, Hurt riuscì a ritagliarsi ben più di una semplice
apparizione all’interno di un film che faticava a prendere il volo.
Un breve aggrottar di sopracciglia, una piega alla bocca, quella
minimale seppur studiata gestualità, rendono Hurt-Olivander vivo e
pulsante di vita agli occhi dello spettatore. Maggy Smith, con il suo
temperamento tutto britannico, domina la scena, così Alan Rikman
renderà credibili le incertezze e le sfaccettature che rendono la
nera sagoma di Severus Piton ben più di un semplice simulacro di
realtà. La sua maschera opaca incorniciata da untuosi capelli neri
sarà in grado di sorprenderci, fino alla fine. Ugualmente non
sentiamo di sprecarci in elogi esaltando l’impeccabile performance
fornitaci da Jim Broadbent- Horace Lumacorno. Nelle rare pose che lo
vedono protagonista l’attore, coadiuvato da un’infallibile
talento espressivo, riuscirà a rendere palpabile l’angoscia della
catastrofe imminente. I visi di questi grandi interpreti assurgono ad
opere d’arte: quadri animati da una stupefacente forza narrativa.
Il discorso
assumerà una piega diametralmente opposta accingendoci a valutare la
prova di un Lord Voldemort non degno di assurgere a personificazione
di signore del male, metà oscura del protagonista. Ore di trucco e
un mascherone rettiliano non sono sufficienti ad incutere timore. Lo
sa bene Ralph Fiennes che qui si prodiga in una recitazione affettata
su toni soffiati, tutta sorrisi che vorrebbero apparire ghigni
diabolici. Fiennes si dibatte, ma l’unica cosa che riesce ad
offrirci è la risibile caricatura di un male non troppo spaventoso.
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