Un
film di Daniele Vicari
Con
Claudio Santamaria, Elio Germano, Jennifer Ulrich, Renato Scarpa,
Mattia Sbragia, Rolando Ravello
Genere:
Drammatico
Sceneggiatura:
Daniele Vicari, Laura Paolucci
Produttore
esecutivo: Domenico Procacci
Casa
di produzione: Fandango, Le Pacte, Mandragora Movie
Distribuzione
italiana: Fandango
Fotografia:
Gherardo Gossi
Montaggio:
Benni Atria
Musica:
Teho Teardo
Scenografia:
Marta Maffucci
Costumi:
Roberta Vecchi, Francesca Vecchi
Italia-
Francia-Romania 2012
di
Chiara
Roggino
Frammenti
di vetro come pioggia: cascata di cocci, mine impazzite. Poi il
rewind: le schegge riacquistano forma originaria, la bottiglia torna
sui suoi passi per ricomporsi in volo. Era ancora giorno, quel ventun
luglio del 2001. Davanti alla scuola Diaz una volante della polizia
viene presa d’assalto dai no-globals: gioventù multietnica,
pacifici manifestanti; anticapitalismo contro il vertice G8 di
Genova. La folla si riversa contro la vettura al grido “Assassini!
Assassini!”. Era ancora giorno quando Carlo Giuliani perse la vita
in Piazza Alimonda. Aveva ventitré anni. Un poliziotto gli sparò
alla testa.
Il regista
Daniele Vicari realizza un racconto corale basato su testimonianze e
resoconti dei processi inerenti all’intervento militaristico
ad opera del VII Reparto mobile della polizia di Stato (da
“macelleria messicana”, come lo definì il vicequestore
Michelangelo Fournier) avvenuto nella notte tra il ventuno e il
ventidue luglio 2001 presso le scuole Diaz, Pertini e Pascoli (centro
di coordinamento del Genoa Social Forum).
Un film o
un documentario? Una pellicola ibrida quella diretta da Vicari.
L’autore decide di alternare due tipi di linguaggio: racconto
tradizionale e documentazione tramite camera a mano; quest’ultima
programmata a concretare un maggior impatto-effetto di realtà ,
quasi si trattasse di una presa diretta. Nel 2011 Carlo Augusto
Bachschmidt realizza il documentario “Black Block”. Testimonianze
reali di alcuni tra i manifestanti al G8 di Genova, presenti alla
carneficina Diaz. Quando un racconto orale, privo di immagini sature
di violenza, rende con forse maggior efficacia la realtà dei fatti
che furono. La ‘colpa’ di Vicari, se così vogliamo definirla,
non risiede in una presa di posizione di parte. La scelta di
inscenare un racconto corale per dar vita ai fatti del 2001 è in sé
un’idea felice, prodiga di aspettative. Tuttavia ci si chiede se
tale scelta si stata programmata efficacemente ( e consapevolmente)
in fase di stesura del plot, durante la costruzione di una
sceneggiatura portante.
Il
risultato porta a sviluppare caratteri tagliati con l’accetta, sine
spessore psicologico. Posso approvare un simile atteggiamento se
inserito nel giusto contesto: quello di un documentario ‘puro’ in
cui a contare siano i fatti e non le personalità dei protagonisti.
Ma se mi presenti un personaggio e siamo all’interno di un film
(ibrido fin che vuoi), allora io pretendo: non di sapere tutto, non
uno scavo psicologico approfondito, ma qualcosa di più della
realizzazione di semplici macchiette. Unico, grande interprete, in
grado di delineare in poche battute il proprio ruolo (e la propria
umanità) all’interno della vicenda, Renato Scarpa.
“Diaz”,
nella sua comprensibile ansia di presentare i fatti così come
realmente accaddero, si riduce a un perpetuo pestaggio, a un lago di
sangue. E’ sufficiente assistere ad una carneficina per ricordare e
imprimere nella memoria l’indignazione riguardo ad avvenimenti che
urlano di defunta democrazia?
Una follia
collettiva che portò ad una strage programmata nei minimi dettagli.
La strage non fu condotta come conseguenza all’assalto della
volante quel pomeriggio del 2001. Vicari sembra insistere
sull’evidenza di tale movente tramite l’uso ripetuto di
flashback, inutile quanto fastidioso: un montaggio che ostacola il
dipanarsi degli eventi. I macellai che capitanarono l’operazione
avevano dalla loro uno scopo preciso: ripristinare l’autorità
della polizia, incapace, durante quei giorni d’inferno, di frenare
gli attacchi ad opera dei black block. Una rivincita delle forze
dell’ordine. Chi furono i capri espiatori, chi gli architetti del
blitz? Il film li esclude dal campo d’azione, accennando volti
indefiniti, dialoghi banali. Risultato: confusione e pressapochismo.
Eppure i nomi noi li conosciamo. Ma a Vicari questo non sembra
interessare. Nel finale quattro ragazzi francesi assunti dall’autore
come i veri ricercati dalla polizia, ritornano sul luogo del
massacro. “E’ stata colpa nostra”. I manifestanti violenti
giunti a Genova dall’estero durante il G8 erano all’incirca
duemila. Il responso dell’autore, tramite le parole dei suoi
personaggi, risulta quanto meno facilone e inverosimile. Peccato.
Cinematograficamente parlando, la memoria dei fatti presso la scuola
Diaz meritava di più.
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