giovedì 12 luglio 2012

Drive








Un film di Nicolas Winding Refn
Con Ryan Gosling, Carey Mulligan, Bryan Cranston, Albert Brooks, Oscar Isaac, Ron Perlman
Genere: thriller/azione
Soggetto: James Sallis (romanzo)
Sceneggiatura: Hossein Amini
Produzione: Bill Lischak, Linda Mc Donough, John Palermo, Gigi Pritzker, Michel Litvak
Casa di produzione: Bold Films
Distribuzione italiana: 01 Distribution
Fotografia: Newton Thomas Sigel
Montaggio: Mat Newman
Musiche: Cliff Martinez
Scenografia: Beth Mickle
Costumi: Erin Benach
Usa 2011


 di Chiara Roggino.



Drive, stuntman part-time, vive di espedienti illeciti sotto la guida ‘paterna’ del suo capo officina, Shannon, invischiato in affari poco puliti con alcuni pesci piccoli della mafia locale. Un giorno l’uomo incontra Irene, sua vicina di casa, e se ne innamora. La donna ha un figlio, Benicio, nato dalla relazione con un criminale, al momento dietro le sbarre.
Standard, padre del bambino, esce di galera. L’uomo è nei guai. In carcere si è indebitato in cambio di protezione. Ora che è in libertà gli strozzini lo marcano stretto. Per pagare il suo debito Standard dovrà rapinare un banco dei pegni. Drive, per amore di Irene e Benicio, si offre di aiutarlo. Le cose non andranno come previsto. (sinossi)





La solitudine m’ha perseguitato per tutta la vita. Dappertutto: nei bar, in macchina, per la strada, nei negozi, dappertutto. Non c’è scampo: sono nato per essere solo”.
E’ il 1976. Martin Scorsese coagula su grande schermo i traumi di una generazione. Messa davanti ad uno specchio, la progenie del post Vietnam si riflette nelle fattezze e nei tic di un indimenticabile Robert De Niro.Guida taxi in notturna nella metropoli newyorkese macinando solitudini insonni: l’outsider, protagonista di “Taxi driver”,è collocato anagraficamente come Travis Bickle.
Passano più di trent’anni e una nuova macchina si fa strada nella giungla urbana. Siamo a Los Angeles. La città, dall’alto, pulsa di fuochi fatui: luci artificiali si animano intermittenti nella notte. L’autista non ha nome. Stuntman e operaio d’officina durante il giorno, tassista per rapine al calar del sole. La fotografia scompone l’anatomia del sembiante alle prese con un’operazione di routine (“Dammi ora e luogo e ti do cinque minuti: qualunque cosa accada in quei cinque minuti sono con te, ma ti avverto, qualunque cosa accada un minuto dopo sei da solo. Io guido e basta.”) Gli occhi. Riflessi nello specchietto all’interno della vettura. Il profilo. Ridisegnato dai riverberi del traffico notturno. Il volto. Lineamenti morbidi e rassicuranti. Le mani. Protette da guanti di pelle, allacciano al volante un orologio da polso. Un mezzo primo piano. Ora ne abbiamo la certezza: quelle mani, quello sguardo, quel profilo, quel volto appartengono al protagonista. Inizia la danza dei titoli di testa. “Drive” è lui, il nostro uomo.

Tratto dall’omonimo romanzo di James Sallis, la pellicola prende corpo dai presupposti di un debole spunto narrativo. Sulla carta, i fatti conoscono il sapore stantio del déjà-vu.
Nonostante gli auspici poco incoraggianti, retaggio di un intreccio inconsistente, Refn imbastisce una sceneggiatura di ferro per un’intensa messinscena fotografata ad arte da Newton Thomas Sigel (“Platoon”, “I soliti sospetti”). Quando al tutto si aggiunge l’apporto di interpreti superlativi, il gioco è fatto. Presentato alla 64 edizione del festival di Cannes, “Drive” si aggiudica il premio per la miglior regia.
Essenziale sarà l’incontro tra il Refn e il trentunenne canadese Ryan Gosling. L’attore si concede completamente al suo personaggio: Gosling e Drive sono un unicum imprescindibile. Per portare in vita l’uomo-Drive, l’interprete gioca “di sottrazione”. Sono pochi accorgimenti, piccoli e fondamentali dettagli. La camminata: lenta, insicura. Sembra che l’uomo voglia eclissarsi nella folla per sparire nel nulla. Anche nei momenti di maggior tensione il volto è disteso, i lineamenti rilassati. Lo sguardo è quello di un bambino: occhi attoniti, spalancati nell’ atteggiamento di un perpetuo stupore. Cristallizzato in uno stadio di inconsapevole infantilismo, cresciuto senza una famiglia di riferimento, Drive ha appreso un unico linguaggio: la violenza. Con ostinata violenza lotterà fino alla fine. Per sopravvivere, per salvare Irene e Benicio.
Nel 1971 i documentaristi italiani Jacopetti e Prosperi girano il loro quinto lungometraggio: “Addio zio Tom”. Dalla colonna sonora del film, diretta dal sempre impeccabile Riz Ortolani, è tratta la canzone “Oh My love”, interpretata da Katyna Ranieri. Refn, attento nel calibrare ogni materiale a disposizione, si avvantaggia delle note del brano per allestire il tappeto sonoro di una scena tra le più riuscite dell’intera pellicola. Drive ha appena rinvenuto il cadavere di Shannon. Il suo volto, solitamente calmo e pacato, trasuda disperazione. Trafugata una maschera dalla roulotte di un set cinematografico, l’uomo parcheggia davanti al locale di Nino, boss della malavita cui fa da copertura una pizzeria. Le vetrate del ristorante sono dipinte a scacchiera: quadri bianchi e rossi creano un gioco di claustrofobiche simmetrie. Drive, indossata la maschera, osserva dal di fuori. Tra i tanti rossi e bianchi, il “volto artificiale” si riflette nell’unico riquadro trasparente. Da questa posizione privilegiata, sicuro di non essere riconosciuto, il carnefice spia la sua prossima vittima.








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