Un film di
Nicolas Winding Refn
Con Ryan
Gosling, Carey Mulligan, Bryan Cranston, Albert Brooks, Oscar Isaac,
Ron Perlman
Genere:
thriller/azione
Soggetto:
James Sallis (romanzo)
Sceneggiatura:
Hossein Amini
Produzione:
Bill Lischak, Linda Mc Donough, John Palermo, Gigi Pritzker, Michel
Litvak
Casa di
produzione: Bold Films
Distribuzione
italiana: 01 Distribution
Fotografia:
Newton Thomas Sigel
Montaggio:
Mat Newman
Musiche:
Cliff Martinez
Scenografia:
Beth Mickle
Costumi:
Erin Benach
Usa 2011
di Chiara Roggino.
di Chiara Roggino.
Drive, stuntman part-time, vive di espedienti illeciti sotto la guida ‘paterna’ del suo capo officina, Shannon, invischiato in affari poco puliti con alcuni pesci piccoli della mafia locale. Un giorno l’uomo incontra Irene, sua vicina di casa, e se ne innamora. La donna ha un figlio, Benicio, nato dalla relazione con un criminale, al momento dietro le sbarre.
Standard,
padre del bambino, esce di galera. L’uomo è nei guai. In carcere
si è indebitato in cambio di protezione. Ora che è in libertà gli
strozzini lo marcano stretto. Per pagare il suo debito Standard dovrà
rapinare un banco dei pegni. Drive, per amore di Irene e Benicio, si
offre di aiutarlo. Le cose non andranno come previsto. (sinossi)
“La solitudine m’ha perseguitato per tutta la vita. Dappertutto: nei bar, in macchina, per la strada, nei negozi, dappertutto. Non c’è scampo: sono nato per essere solo”.
E’ il 1976. Martin Scorsese coagula su grande schermo i traumi di una generazione. Messa davanti ad uno specchio, la progenie del post Vietnam si riflette nelle fattezze e nei tic di un indimenticabile Robert De Niro.Guida taxi in notturna nella metropoli newyorkese macinando solitudini insonni: l’outsider, protagonista di “Taxi driver”,è collocato anagraficamente come Travis Bickle.
Passano più
di trent’anni e una nuova macchina si fa strada nella giungla
urbana. Siamo a Los Angeles. La città, dall’alto, pulsa di fuochi
fatui: luci artificiali si animano intermittenti nella notte.
L’autista non ha nome. Stuntman e operaio d’officina durante il
giorno, tassista per rapine al calar del sole. La fotografia scompone
l’anatomia del sembiante alle prese con un’operazione di routine
(“Dammi
ora e luogo e ti do cinque minuti: qualunque cosa accada in quei
cinque minuti sono con te, ma ti avverto, qualunque cosa accada un
minuto dopo sei da solo. Io guido e basta.”)
Gli
occhi.
Riflessi nello specchietto all’interno della vettura. Il
profilo.
Ridisegnato dai riverberi del traffico notturno. Il
volto.
Lineamenti morbidi e rassicuranti. Le
mani.
Protette da guanti di pelle, allacciano al volante un orologio da
polso. Un
mezzo primo piano.
Ora ne abbiamo la certezza: quelle mani, quello sguardo, quel
profilo, quel volto appartengono al protagonista. Inizia la danza dei
titoli di testa. “Drive” è lui, il nostro uomo.
Tratto
dall’omonimo romanzo di James Sallis, la pellicola prende corpo dai
presupposti di un debole spunto narrativo. Sulla carta, i fatti
conoscono il sapore stantio del déjà-vu.
Nonostante
gli auspici poco incoraggianti, retaggio di un intreccio
inconsistente, Refn imbastisce una sceneggiatura di ferro per
un’intensa messinscena fotografata ad arte da Newton Thomas Sigel
(“Platoon”, “I soliti sospetti”). Quando al tutto si aggiunge
l’apporto di interpreti superlativi, il gioco è fatto. Presentato
alla 64 edizione del festival di Cannes, “Drive” si aggiudica il
premio per la miglior regia.
Essenziale
sarà l’incontro tra il Refn e il trentunenne canadese Ryan
Gosling. L’attore si concede completamente al suo personaggio:
Gosling e Drive sono un unicum imprescindibile. Per portare in vita
l’uomo-Drive, l’interprete gioca “di sottrazione”. Sono pochi
accorgimenti, piccoli e fondamentali dettagli. La camminata: lenta,
insicura. Sembra che l’uomo voglia eclissarsi nella folla per
sparire nel nulla. Anche nei momenti di maggior tensione il volto è
disteso, i lineamenti rilassati. Lo sguardo è quello di un bambino:
occhi attoniti, spalancati nell’ atteggiamento di un perpetuo
stupore. Cristallizzato in uno stadio di inconsapevole infantilismo,
cresciuto senza una famiglia di riferimento, Drive ha appreso un
unico linguaggio: la violenza. Con ostinata violenza lotterà fino
alla fine. Per sopravvivere, per salvare Irene e Benicio.
Nel 1971 i
documentaristi italiani Jacopetti e Prosperi girano il loro quinto
lungometraggio: “Addio zio Tom”. Dalla colonna sonora del film,
diretta dal sempre impeccabile Riz Ortolani, è tratta la canzone “Oh
My love”, interpretata da Katyna Ranieri. Refn, attento nel
calibrare ogni materiale a disposizione, si avvantaggia delle note
del brano per allestire il tappeto sonoro di una scena tra le più
riuscite dell’intera pellicola. Drive ha appena rinvenuto il
cadavere di Shannon. Il suo volto, solitamente calmo e pacato,
trasuda disperazione. Trafugata una maschera dalla roulotte di un set
cinematografico, l’uomo parcheggia davanti al locale di Nino, boss
della malavita cui fa da copertura una pizzeria. Le vetrate del
ristorante sono dipinte a scacchiera: quadri bianchi e rossi creano
un gioco di claustrofobiche simmetrie. Drive, indossata la maschera,
osserva dal di fuori. Tra i tanti rossi e bianchi, il “volto
artificiale” si riflette nell’unico riquadro trasparente. Da
questa posizione privilegiata, sicuro di non essere riconosciuto, il
carnefice spia la sua prossima vittima.
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