giovedì 12 luglio 2012

Hunger




 




Un film di Steve McQueen
con Michael Fassbender, Liam Cunningham, Stuart Grahm, Brian
Milligan, Liam McMahon
Genere: Drammatico
Sceneggiatura: Enda Walsh, Steve McQueen
Produzione: Blast Films
Fotografia: Sean Bobbitt
Montaggio: Joe Walker
Musiche: David Holmes, Leo Abrahams
Durata: 96 min.
Distribuzione: Bim
Regno Unito – Irlanda, 2008


di Chiara Roggino



Irlanda del nord, contea di Antrim, carcere di Long Kesh. Gli inglesi lo ribattezzarono “The Maze” in seguito alla costruzione degli H- Blocks, otto edifici a forma di “H”. Il nuovo arrivato rifiuta di indossare l'uniforme carceraria. Nome: Davey Gillen. Dissidente. Interno cella. Escrementi spalmati alle pareti, sporcizia ovunque. Sul pavimento,appoggiato al muro, un altro uomo, sguardo perso nel vuoto. Silenzio tutt'intorno mentre Davey respira affannosamente.

Dopo il successo di Shame , il 27 aprile debutta nelle sale italiane l'opera prima del cineasta-artista visivo Steve McQueen. Hunger, scritto e diretto nel 2008, si aggiudicò la Caméra D'or quale migliore opera prima al 61° Festival di Cannes. La pellicola fu inoltre premiata all'European Film Awards come Miglior Rivelazione- Prix Fassbinder.

Primi anni Ottanta. Il carcere di Maze detiene terroristi, prigionieri associati alla Provisional Ira. L'Irlanda, sostenuta dal partito repubblicano, rivendica la propria indipendenza dal governo britannico. Il primo ministro inglese, Margaret Thatcher, non cede alle richieste dei detenuti: numerose manifestazioni, volte a riottenere lo status di prigionieri politici. Tra queste, la blanket protest ( “protesta delle coperte”) e la dirty protest (“protesta dello sporco”). Dopo il fallimento del primo sciopero della fame, sotto la supervisione di Brendan Huges (1980), il primo marzo del 1981 ha inizio un secondo sciopero, guidato dal leader OC Bobby Sands. Dopo sessantasei giorni di digiuno forzato, l'uomo morì d'inedia nell'ospedale della prigione.

Chi ha ragione e chi torto? Hunger non è un film politicamente schierato. “E' necessario occuparsi della gente. Le circostanze e le situazioni possono portare ad agire in modo disumano, ma in generale sono interessato alle persone, al modo in cui affrontano determinate situazioni. E' la gente ad interessarmi”. (Steve McQueen)





Dopo numerosi provini, l'incontro con Michael Fassbender si rivela fondamentale. L'entrata in scena del protagonista non è immediata. Il co-sceneggiatore Enda Walsh è uomo di teatro. Guarda, esamina, analizza con cura. Nella sua prima parte, Hunger è racconto corale intessuto tra spazi angusti, sguardi, rari scambi di battute. Gli uomini di Maze si presentano uno ad uno. Così come in Shame, marchio di fabbrica di MacQueen è una quasi totale assenza di parlato. Ad esprimersi, più di ogni altra cosa, saranno volti, corpi, luoghi, colori. Quando Sands compare sullo schermo è per essere scaraventato fuori dalla cella. L'uomo, sospinto da secondini prodighi di violenza, si oppone invano. Fassbender è irriconoscibile: capelli lunghi e barba incolta, unico indumento una coperta. Che aderisca o meno al Metodo, poco importa. L'interprete agisce e respira appropriandosi di involucro e essenza del detenuto irlandese. Un lavoro estenuante, con e sul corpo: spasmi muscolari, tendini tesi, lineamenti contratti. Fassbender è Bobby Sands. Il percorso di costruzione del personaggio termina con un reale disumano dimagrimento. Sands muore d'inedia. Era pertanto indispensabile che l'attore perdesse il peso necessario a rappresentare un uomo allo stremo dopo sessantasei giorni di astinenza alimentare.

McQueen muove la cinepresa nello spazio; i suoi spostamenti sono dettati dall'ambientazione fisica, dall'evolversi degli eventi. La conversazione tra il don ( un eccellente Liam Cunningham) e Bobby è in presa diretta ( “guinness dei primati” per una durata complessiva di diciassette minuti e mezzo). Il dialogo è agile, costruito per suscitare nello spettatore un forte impatto emotivo. L'accesa conversazione si fa confronto generazionale. Due uomini, due irlandesi, cattolici e repubblicani: divisi per estrazione sociale ed esperienze di vita (“Mentre tu pescavi salmoni nell'adorabile Kilrea, a noi incendiavano le case a Rathcoole”, dirà Bobby). Il don invita Sands alla negoziazione (“La vita non deve significare nulla per te”), ma l'uomo non rinuncia ai suoi propositi. Servono soldati rivoluzionari armati di ideali per dare alla vita una direzione nuova (“La mia vita è tutto per me. La libertà è tutto”). Quando libertà e democrazia non sono concesse, è necessario rifiutare inutili negoziazioni. Inutile divagare, necessario è agire sacrificandosi, mettere in gioco la propria esistenza. “Io credo in qualcosa e in tutta la sua semplicità questa è la cosa più potente”.  




 

Hunger: un film crudo, calcio alle reni bene assestato. Una pellicola dura, d'estrema necessaria violenza. Sospinto da ideali inflessibili, convinto di essere nel giusto, Bobby affronta la morte faccia a faccia. L'annullamento corporale, per un martirio in piena regola, è via fuga, arma spirituale per evadere dalle mura di Maze.
Dal primo all'ultimo, i protagonisti del film sono personaggi disperati. Tra i molti, una feroce guardia carceraria (Larry Cowan). Dorso delle mani escoriato; troppi i pugni assestati ai prigionieri: vittime, giorno dopo giorno, di puntuali sevizie. Inglese relegato in Irlanda, minacciato dall'Ira, agonizza in vita per una morte che non concede vie di scampo. Nella scena dell'omicidio presso la casa di riposo, il capo insanguinato dell'uomo poggia sul grembo di madre. Quasi una “Pietà” macabra, dipinta a tinte forti. McQueen non dà tregua allo spettatore. Le immagini vengono riprese nella loro interezza. Nulla è lasciato al fuori campo. 
L'ultima mezz'ora di film è anatomia di una morte annunciata. Fassbender non pronuncia parola. Sarà il suo corpo martoriato a narrare il finale della storia. Nella stanza d'ospedale, seduto su una sedia, il bambino-Sands che fu osserva se stesso: un uomo solo e agonizzante. Nel sogno di Bobby, il fanciullo rivive il viaggio di tanti anni prima. Gweedore, Donegal: era il posto più bello del mondo. Il ragazzo corre lungo il sentiero. Poi si ferma, privo di forze. Volge lo sguardo alle spalle. Corvi neri appollaiati sui rami di un albero, quasi avvoltoi, preannunciano l'inevitabile. E' ormai notte. La foresta, il sentiero, il torrente si tingono di blu scuro. Giunto l'epilogo, i corvi migrano altrove, disperdendosi nel cielo. Un'ultima lacrima solca il viso di Bobby Sands. La sua missione è conclusa.




 


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