Un
film di Steve McQueen
con
Michael Fassbender, Liam Cunningham, Stuart Grahm, Brian
Milligan,
Liam McMahon
Genere:
Drammatico
Sceneggiatura:
Enda Walsh, Steve McQueen
Produzione:
Blast Films
Fotografia:
Sean Bobbitt
Montaggio:
Joe Walker
Musiche:
David Holmes, Leo Abrahams
Durata:
96 min.
Distribuzione:
Bim
Regno
Unito – Irlanda, 2008
di
Chiara Roggino
Irlanda
del nord, contea di Antrim, carcere di Long Kesh. Gli inglesi lo
ribattezzarono “The Maze” in seguito alla costruzione degli H-
Blocks, otto edifici a forma di “H”. Il nuovo arrivato rifiuta di
indossare l'uniforme carceraria. Nome: Davey Gillen. Dissidente.
Interno cella. Escrementi spalmati alle pareti, sporcizia ovunque.
Sul pavimento,appoggiato al muro, un altro uomo, sguardo perso nel
vuoto. Silenzio tutt'intorno mentre Davey respira affannosamente.
Dopo
il successo di Shame , il 27 aprile debutta nelle sale
italiane l'opera prima del cineasta-artista visivo Steve McQueen.
Hunger, scritto e diretto nel 2008, si aggiudicò la Caméra
D'or quale migliore opera prima al 61° Festival di Cannes. La
pellicola fu inoltre premiata all'European Film Awards come Miglior
Rivelazione- Prix Fassbinder.
Primi
anni Ottanta. Il carcere di Maze detiene terroristi, prigionieri
associati alla Provisional Ira. L'Irlanda, sostenuta dal partito
repubblicano, rivendica la propria indipendenza dal governo
britannico. Il primo ministro inglese, Margaret Thatcher, non cede
alle richieste dei detenuti: numerose manifestazioni, volte a
riottenere lo status di prigionieri politici. Tra queste, la blanket
protest ( “protesta delle coperte”) e la dirty protest (“protesta
dello sporco”). Dopo il fallimento del primo sciopero della fame,
sotto la supervisione di Brendan Huges (1980), il primo marzo del
1981 ha inizio un secondo sciopero, guidato dal leader OC Bobby
Sands. Dopo sessantasei giorni di digiuno forzato, l'uomo morì
d'inedia nell'ospedale della prigione.
Chi
ha ragione e chi torto? Hunger
non è un film politicamente schierato. “E'
necessario occuparsi della gente. Le circostanze e le situazioni
possono portare ad agire in modo disumano, ma in generale sono
interessato alle persone, al modo in cui affrontano determinate
situazioni. E' la gente ad interessarmi”.
(Steve McQueen)
Dopo
numerosi provini, l'incontro con Michael Fassbender si rivela
fondamentale. L'entrata
in scena del protagonista non è immediata. Il co-sceneggiatore Enda
Walsh è uomo di teatro. Guarda, esamina, analizza con cura.
Nella sua prima parte, Hunger è racconto corale intessuto tra
spazi angusti, sguardi, rari scambi di battute. Gli uomini di Maze si
presentano uno ad uno. Così come in Shame, marchio di
fabbrica di MacQueen è una quasi totale assenza di parlato. Ad
esprimersi, più di ogni altra cosa, saranno volti, corpi, luoghi,
colori. Quando Sands compare sullo schermo è per essere scaraventato
fuori dalla cella. L'uomo, sospinto da secondini prodighi di
violenza, si oppone invano. Fassbender è irriconoscibile: capelli
lunghi e barba incolta, unico indumento una coperta. Che aderisca o
meno al Metodo, poco importa. L'interprete agisce e respira
appropriandosi di involucro e essenza del detenuto irlandese. Un
lavoro estenuante, con e sul corpo: spasmi muscolari, tendini tesi,
lineamenti contratti. Fassbender è Bobby Sands. Il percorso di
costruzione del personaggio termina con un reale disumano
dimagrimento. Sands muore d'inedia. Era pertanto indispensabile che
l'attore perdesse il peso necessario a rappresentare un uomo allo
stremo dopo sessantasei giorni di astinenza alimentare.
McQueen
muove la cinepresa nello spazio; i suoi spostamenti sono dettati
dall'ambientazione fisica, dall'evolversi degli eventi. La
conversazione tra il don ( un eccellente Liam Cunningham) e
Bobby è in presa diretta ( “guinness dei primati” per una durata
complessiva di diciassette minuti e mezzo). Il dialogo è agile,
costruito per suscitare nello spettatore un forte impatto emotivo.
L'accesa conversazione si fa confronto generazionale. Due uomini, due
irlandesi, cattolici e repubblicani: divisi per estrazione sociale ed
esperienze di vita (“Mentre tu pescavi salmoni nell'adorabile
Kilrea, a noi incendiavano le case a Rathcoole”, dirà Bobby).
Il don invita Sands alla negoziazione (“La vita non deve
significare nulla per te”), ma l'uomo non rinuncia ai suoi
propositi. Servono soldati rivoluzionari armati di ideali per dare
alla vita una direzione nuova (“La mia vita è tutto per me. La
libertà è tutto”). Quando libertà e democrazia non sono
concesse, è necessario rifiutare inutili negoziazioni. Inutile
divagare, necessario è agire sacrificandosi, mettere in gioco la
propria esistenza. “Io credo in qualcosa e in tutta la sua
semplicità questa è la cosa più potente”.
Hunger:
un film crudo, calcio alle reni bene assestato. Una pellicola dura,
d'estrema necessaria violenza. Sospinto da ideali inflessibili,
convinto di essere nel giusto, Bobby affronta la morte faccia a
faccia. L'annullamento corporale, per un martirio in piena regola, è
via fuga, arma spirituale per evadere dalle mura di Maze.
Dal
primo all'ultimo, i protagonisti del film sono personaggi disperati.
Tra i molti, una feroce guardia carceraria (Larry
Cowan). Dorso delle mani escoriato;
troppi i pugni assestati ai prigionieri: vittime, giorno dopo giorno,
di puntuali sevizie. Inglese relegato in Irlanda, minacciato
dall'Ira, agonizza in vita per una morte che non concede vie di
scampo. Nella scena dell'omicidio presso la casa di riposo, il capo
insanguinato dell'uomo poggia sul grembo di madre. Quasi una “Pietà”
macabra, dipinta a tinte forti. McQueen non dà tregua allo
spettatore. Le immagini vengono riprese nella loro interezza. Nulla è
lasciato al fuori campo.
L'ultima
mezz'ora di film è anatomia di una morte annunciata. Fassbender non
pronuncia parola. Sarà il suo corpo martoriato a narrare il finale
della storia. Nella stanza d'ospedale, seduto su una sedia, il
bambino-Sands che fu osserva se stesso: un uomo solo e agonizzante.
Nel sogno di Bobby, il fanciullo rivive il viaggio di tanti anni
prima. Gweedore, Donegal: era il posto più bello del mondo. Il
ragazzo corre lungo il sentiero. Poi si ferma, privo di forze. Volge
lo sguardo alle spalle. Corvi neri appollaiati sui rami di un albero,
quasi avvoltoi, preannunciano l'inevitabile. E' ormai notte. La
foresta, il sentiero, il torrente si tingono di blu scuro. Giunto
l'epilogo, i corvi migrano altrove, disperdendosi nel cielo.
Un'ultima lacrima solca il viso di Bobby Sands. La sua missione è
conclusa.