Un
film di Steve
McQueen
Con
Michael
Fassbender, Carey Mulligan, James Badge Dale, Nicole Beharie
Genere:
Drammatico
Durata:
99 min.
Sceneggiatura:
Steve
McQueen e Abi Morgan
Produzione:
Iain Canning, Emile Sherman, Bergen Swanson
Produttore
esecutivo: Tessa Ross, Robert Walak, Peter Hampden, Tim Haslan
Casa
di produzione: See-Saw Films, Film4
Fotografia:
Sean Bobbitt
Montaggio:
Joe Walker
Scenografia:
Judy Beker
Musica:
Herry Escott
Costumi:
David Robinson
Regno
Unito 2011
di
Chiara Roggino
Brandon
è un trentenne in carriera a Manhattan. Lavoro di prestigio,
appartamento confortevole. L’uomo è di bell’aspetto. Ci sa fare
con le donne. La società americana è stata generosa. Ma troppa
libertà si trasforma in una prigione senza sbarre. Brandon è un sex
addicted: un uomo dipendente dal sesso. L’arrivo della sorella
minore Sissy, cantante di night con precedenti suicidi, farà
crollare maschere, sovrastrutture ed equilibri precari faticosamente
costruiti. (sinossi)
Un
corpo disteso sul letto. Esanime, nessun segno di vita. Solo lo
sguardo. Attonito, in una giornata come tante. Il lenzuolo azzurro è
un sudario ad avvolgere Brandon, completamente nudo. L’uomo si
alza, solleva le tapparelle. La luce entra nella stanza: un nuovo
giorno. Brandon cammina nel suo appartamento. Lo pediniamo nel suo
vagare. I movimenti assecondano un ostinato
scandito a metronomo. La routine pare elaborata a tavolino, passo
passo. L’importante è avere tutto sotto controllo. La musica, i
suoni, gli spazi sostituiscono le parole. “The
time is out of joint”,
diceva Amleto, così il tempo per Brandon. Si articola tra l’adesso
il poco dopo e il successivamente, mescolati insieme. Una
destrutturazione temporale per cui flashback e flashforward si
innestano l’uno sull’altro, senza posa. Le immagini si susseguono
per farsi ricordi, tasselli nella mente a immagazzinare giorni:
identici, vuoti, sempre uguali. “Brandon
è un ragazzo di tutti i giorni. Lo conosciamo tutti. Per certi versi
siamo tutti una parte di lui. Non è un mostro, è uno di noi”. (
Steve McQueen)
Al suo secondo lungometraggio, l’artista visivo e cineasta londinese Steve McQueen si accosta a un tema di scottante attualità. Un film che cresce e prende forma sulla base di una meticolosa opera di ricerca. L’aneddoto riporta all’incirca questo: in una conversazione tra McQueen e la sceneggiatrice Abi Morgan, l’attenzione si focalizza sulle problematiche connesse all’abuso di internet. La discussione, sempre più animata, si rivolge successivamente al sesso online e all’asservimento che esso provoca nei fruitori via etere. Per documentarsi, gli sceneggiatori, a New York, intervistano due psichiatri specializzati in problematiche a sfondo sessuale e cinque pazienti affetti da sessuomania. La parola che più spesso emerge dalle loro labbra è 'vergogna'. A conclusione di ogni rapporto occasionale il paziente prova un’angosciosa vergogna. Ecco il titolo per il film (Shame). “Voglio che il cinema sia come uno specchio e che rifletta il pubblico, così da vedersi sullo schermo. A volte la gente potrebbe non voler guardare perché la cosa non è particolarmente attraente. Ma dobbiamo riflettere su ciò che siamo per cambiare ciò che potrebbe accadere”. (Steve McQueen)
Il secondo lungometraggio di McQueen non deluderà gli spettatori che nel 2008 lo applaudirono a Cannes per “Hunger” ( premio Caméra d’or per la miglior opera prima). La pellicola narrava dei moti di protesta dei prigionieri della provisional IRA ( sotto l’egida Thatcher ) nel carcere irlandese di massima sicurezza di Maze nella contea di Antrim. In particolare dello sciopero della fame che vide come leader trainante Bobby Sands. L’uomo morirà di stenti nel 1981. Con “Hunger” si concreta un importante sodalizio: tra McQueen e l’attore Michael Fassbender che per “Shame” si aggiudicherà alla sessantottesima Mostra del Cinema di Venezia la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile. Fondamentale il parallelo tra i due personaggi: Bobby e Brandon. Per McQueen “Al centro c’è il corpo e il suo rapporto con l’anima. Bobby Sands lo usa come arma di libertà spirituale per evadere dalla prigione reale. Brandon lo subisce nel suo bisogno ossessivo di sesso, da cui è imprigionato”.
In “Hunger” Fassbender-Sands si offre al pubblico quale artefice di una recitazione prettamente fisica (Un dimagrimento complessivo di diciotto chili a rendere credibile una morte per inedia). Per “Shame” l’interprete non rinuncia al lavoro con e sul corpo presentandoci la graduale rivelazione di un male di vivere. Solitudine, disagio, senso d’inadeguatezza trapelano da ogni gesto, da uno sguardo, un sorriso sforzato. Niente rapporti umani, nessuna complicità o confidenza. Altra protagonista del film, la città di New York. Con le sue tinte bianco grigie e blu: un’implosione di colori che accompagna nei suoi paesaggi urbani in notturna la discesa agli inferi del protagonista. McQueen non utilizza illuminazioni artificiali: la città è buia al calar del sole, rischiarata appena da rade luci al neon, occhi vigili di semafori all’angolo della strada. I personaggi si immergono nelle tenebre per trarne forza narrativa. Brandon corre nella notte. Corre per consumare rabbia e tempo. Il freddo invernale appanna il respiro, i battiti cardiaci accelerano. Lo spettatore è scaraventato a forza nella metropoli: i suoi ritmi si imprimono nel sangue. La musica di Harry Escott avvolge e pulsa alle tempie. Si muore in fretta qui a Manhattan.
Se
Michael Fassbender ci consegna una prova d’attore di intensità
inarrivabile, da non sottovalutare nell’apporto alla pellicola la
performance di Carey
Mulligan.
Nelle vesti di Sissy, giovane sorella di Brandon, la Mulligan imprime
sul video una richiesta d’amore costante, tenera e struggente. La
scena ambientata nel night club dove la giovane cantante si esibisce
si fa puro cinema tramite l’uso della camera fissa sul volto di
donna. L’evento, registrato in tempo reale, accresce l’emozione.
Una lacrima solca il volto di Brandon. Forse è l’unico momento in
cui i due fratelli sono riusciti a comunicare davvero. “Noi
non siamo cattive persone, è solo che veniamo da un brutto posto “. Il
cinema di McQueen si fa sinfonia visiva quando i volti indagati a
lungo e i versi di una vecchia canzone esprimono più delle parole
per raccontarci storie legate al passato.
“I
wanna wake up, in the city that doens't sleep
to
find I’m king of the hill, , head of the list
cream
of the crop at the top of the list
My
little town blues are melting away
I’ll
make a brand new start of it, in old New York
if
I can make it there, I’d make it anywhere
it’s
up to you, New York New York
“
“Voglio
svegliarmi, in una città che non dorme mai
E
scoprire che sono un numero uno, il primo della lista
Re
della collina, un numero uno
Queste
piccole depressioni cittadine, si stanno dissolvendo
Ricomincerò
da lei
Nella
vecchia New York
Se
posso farlo qui, posso farlo ovunque
Sta
a te New York New York"