Visualizzazione post con etichetta Ryan Gosling. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Ryan Gosling. Mostra tutti i post

giovedì 12 luglio 2012

Le idi di marzo










Un film di George Clooney
Con: Ryan Gosling, George Clooney, Philip Saymour Hoffman, Paul Giamatti, Marisa Tomei, Evan Rachel Wood
Genere: Drammatico, thriller
Titolo originale: The Ides of March
Durata: 101 min.
Soggetto: Beau Willimon
Sceneggiatura: George Clooney, Grant Heslov, Beau Willimon
Produzione: George Clooney, Grant Heslov, Beau Willimon, Brian Oliver
Casa di produzione: Cross Creek Pictures, Exclusive Media Groupe, Smokehouse Pictures
Fotografia: Phedon Papamichael
Montaggio: Stephen Mirrione
Musiche: Alexandre Desplat
Scenografia: Sharon Saymour
Costumi: Louise Frogley
USA 2011


di Chiara Roggino


Washington D.C. : quartieri alti del lobbismo americano. Percorrendo K Street, Farragut North è una stazione metropolitana come tante.
Liberamente ispirato alle primarie democratiche del 2004 (e alla campagna elettorale del governatore Howard Dean), “Farragut North” , dal nome dell’omonima fermata della Linea Rossa, è opera dell’autore teatrale Beau Willimon. Nell’ottobre del 2008 la produzione debutta al Teatro Linda di New York City riscuotendo uno strepitoso successo. Tra i plaudenti, l’attore e cineasta americano George Clooney. Risultato: nel 2011, il drammaturgo, incaricato dalla Warner Brothers, scrive l’adattamento cinematografico della sua pièce. La sceneggiatura sarà un lavoro a tre mani, tra Willimon, Grant Heslov e lo stesso Clooney. “The Ides of March”, opera quarta dell’autore di “Good Night, and Good Luck” debutterà in anteprima in apertura alla sessantottesima mostra del cinema di Venezia, il 31 agosto. Negli Stati Uniti la distribuzione del film ( effettuata Sony Pictures) inizia il 7 ottobre.
Perché se stai in questo lavoro diventi stanco e cinico”.
Sullo sfondo di un politicare corrotto animato da inesauste brame di potere ha luogo il processo di disumanizzazione dell’enfant prodige Stephen Meyers ( Ryan Gosling), addetto stampa per la campagna elettorale del governatore democratico Mike Morris ( George Clooney).





Un film circolare, “Le Idi di Marzo”: una pellicola che risente del proprio retroterra, squisitamente teatrale, tra entrate e sortite di scena congegnate ad arte, mai banali, catturate in un gioco di efficaci chiaroscuri dalla sapiente fotografia di Phedon Papamichael. Un giovane magro, volto pulito, fa il suo ingresso nel grande palcoscenico. L’attore cammina deciso, da sinistra verso destra: ne intuiamo la sagoma smarrita nel buio. Si ferma: un primo piano ravvicinato ( ora il volto è in piena luce). Sul ‘proscenio’ il personaggio ripete meccanicamente le sue battute: è una comparsa, uno dei tanti, Stephen Meyers. All’approssimarsi del the end , lo stesso uomo entra in scena. Nuovamente. Da destra a sinistra. Ad attenderlo una sedia da star, telecamere e luci.
Intorno al nuovo divo, mani armeggiano al trucco, sistemano i microfoni. Il neo direttore della campagna stampa è ora protagonista indiscusso, robot tra i robot, meccanizzato, inumano, perfettamente inserito nel Sistema.
Le Idi di Marzo”, liquidato da molti come parabola scontata e superficiale sulla corruzione politica è in realtà molto di più. Clooney mette in scena un vero e proprio ‘romanzo di formazione’. Protagonista: Stephen Meyers, giovane ambizioso ma di puri e ingenui ideali. “Governatore, c’è una bella differenza tra me e Paul. Paul crede nella vitttoria e farà di tutto per vincere. Io farò e dirò di tutto per ciò in cui credo. Ma devo credere nella causa”. Da un certo punto della vicenda in poi Stephen cadrà preda della confusione più totale. Poco sarà sufficiente: scoprire che il proprio idolo, colui per cui si è lavorato e lottato , non è la gemma di integrità che dava ad intendere.
La rivelazione basterà a rendere l’eroe dal cuore puro un semplice mortale dominato dall’ubris, animato da vendetta e sfrenati sentimenti di rivalsa, pronto a calpestare chicchessia per conquistare l’ambito seggio di potere.
Il teatro politico di Clooney mette in scena personaggi-attori che ripetono un copione precedentemente appreso. Dignità e integrità sono parole vuote, insegne luminose su uno schermo per essere ricondotte a una labile memoria. “Perché è il modo in cui ci presentiamo al mondo che conta. La dignità è importante! L’integrità è importante! Il nostro futuro dipende da questo”.
Vinto il premio Brian a Venezia 2011, “Le idi di marzo” ottiene quattro candidature ai Golden Globe 2012: miglior film drammatico, miglior sceneggiatura non originale, miglior regista e miglior attore drammatico ( Ryan Gosling).
Gosling rinnova doti d’interprete fuori dal comune, imprimendo il proprio nome tra i divi hollywoodiani che contano. Ma Le Idi di Clooney brillano di un cast complessivamente lungi dall’ordinario: una gara tra talenti in cui a “sfigurare” sarà forse il regista-attore nelle vesti del candidato Morris. Rimarchevole la prova di un Paul Giamatti ( Tom Duffy, direttore della campagna stampa avversaria) in stato di grazia. Tra gigionerie da mestierante consumato e battute, parole buttate lì, apparentemente a caso, ma con meticolosa precisione attorale, Giamatti dà vita a un personaggio sfaccettato nel più efficace dei modi, coro e portavoce ideale di quel disumano cinismo, quella dote drammaticamente necessaria al fare politica.







Drive








Un film di Nicolas Winding Refn
Con Ryan Gosling, Carey Mulligan, Bryan Cranston, Albert Brooks, Oscar Isaac, Ron Perlman
Genere: thriller/azione
Soggetto: James Sallis (romanzo)
Sceneggiatura: Hossein Amini
Produzione: Bill Lischak, Linda Mc Donough, John Palermo, Gigi Pritzker, Michel Litvak
Casa di produzione: Bold Films
Distribuzione italiana: 01 Distribution
Fotografia: Newton Thomas Sigel
Montaggio: Mat Newman
Musiche: Cliff Martinez
Scenografia: Beth Mickle
Costumi: Erin Benach
Usa 2011


 di Chiara Roggino.



Drive, stuntman part-time, vive di espedienti illeciti sotto la guida ‘paterna’ del suo capo officina, Shannon, invischiato in affari poco puliti con alcuni pesci piccoli della mafia locale. Un giorno l’uomo incontra Irene, sua vicina di casa, e se ne innamora. La donna ha un figlio, Benicio, nato dalla relazione con un criminale, al momento dietro le sbarre.
Standard, padre del bambino, esce di galera. L’uomo è nei guai. In carcere si è indebitato in cambio di protezione. Ora che è in libertà gli strozzini lo marcano stretto. Per pagare il suo debito Standard dovrà rapinare un banco dei pegni. Drive, per amore di Irene e Benicio, si offre di aiutarlo. Le cose non andranno come previsto. (sinossi)





La solitudine m’ha perseguitato per tutta la vita. Dappertutto: nei bar, in macchina, per la strada, nei negozi, dappertutto. Non c’è scampo: sono nato per essere solo”.
E’ il 1976. Martin Scorsese coagula su grande schermo i traumi di una generazione. Messa davanti ad uno specchio, la progenie del post Vietnam si riflette nelle fattezze e nei tic di un indimenticabile Robert De Niro.Guida taxi in notturna nella metropoli newyorkese macinando solitudini insonni: l’outsider, protagonista di “Taxi driver”,è collocato anagraficamente come Travis Bickle.
Passano più di trent’anni e una nuova macchina si fa strada nella giungla urbana. Siamo a Los Angeles. La città, dall’alto, pulsa di fuochi fatui: luci artificiali si animano intermittenti nella notte. L’autista non ha nome. Stuntman e operaio d’officina durante il giorno, tassista per rapine al calar del sole. La fotografia scompone l’anatomia del sembiante alle prese con un’operazione di routine (“Dammi ora e luogo e ti do cinque minuti: qualunque cosa accada in quei cinque minuti sono con te, ma ti avverto, qualunque cosa accada un minuto dopo sei da solo. Io guido e basta.”) Gli occhi. Riflessi nello specchietto all’interno della vettura. Il profilo. Ridisegnato dai riverberi del traffico notturno. Il volto. Lineamenti morbidi e rassicuranti. Le mani. Protette da guanti di pelle, allacciano al volante un orologio da polso. Un mezzo primo piano. Ora ne abbiamo la certezza: quelle mani, quello sguardo, quel profilo, quel volto appartengono al protagonista. Inizia la danza dei titoli di testa. “Drive” è lui, il nostro uomo.

Tratto dall’omonimo romanzo di James Sallis, la pellicola prende corpo dai presupposti di un debole spunto narrativo. Sulla carta, i fatti conoscono il sapore stantio del déjà-vu.
Nonostante gli auspici poco incoraggianti, retaggio di un intreccio inconsistente, Refn imbastisce una sceneggiatura di ferro per un’intensa messinscena fotografata ad arte da Newton Thomas Sigel (“Platoon”, “I soliti sospetti”). Quando al tutto si aggiunge l’apporto di interpreti superlativi, il gioco è fatto. Presentato alla 64 edizione del festival di Cannes, “Drive” si aggiudica il premio per la miglior regia.
Essenziale sarà l’incontro tra il Refn e il trentunenne canadese Ryan Gosling. L’attore si concede completamente al suo personaggio: Gosling e Drive sono un unicum imprescindibile. Per portare in vita l’uomo-Drive, l’interprete gioca “di sottrazione”. Sono pochi accorgimenti, piccoli e fondamentali dettagli. La camminata: lenta, insicura. Sembra che l’uomo voglia eclissarsi nella folla per sparire nel nulla. Anche nei momenti di maggior tensione il volto è disteso, i lineamenti rilassati. Lo sguardo è quello di un bambino: occhi attoniti, spalancati nell’ atteggiamento di un perpetuo stupore. Cristallizzato in uno stadio di inconsapevole infantilismo, cresciuto senza una famiglia di riferimento, Drive ha appreso un unico linguaggio: la violenza. Con ostinata violenza lotterà fino alla fine. Per sopravvivere, per salvare Irene e Benicio.
Nel 1971 i documentaristi italiani Jacopetti e Prosperi girano il loro quinto lungometraggio: “Addio zio Tom”. Dalla colonna sonora del film, diretta dal sempre impeccabile Riz Ortolani, è tratta la canzone “Oh My love”, interpretata da Katyna Ranieri. Refn, attento nel calibrare ogni materiale a disposizione, si avvantaggia delle note del brano per allestire il tappeto sonoro di una scena tra le più riuscite dell’intera pellicola. Drive ha appena rinvenuto il cadavere di Shannon. Il suo volto, solitamente calmo e pacato, trasuda disperazione. Trafugata una maschera dalla roulotte di un set cinematografico, l’uomo parcheggia davanti al locale di Nino, boss della malavita cui fa da copertura una pizzeria. Le vetrate del ristorante sono dipinte a scacchiera: quadri bianchi e rossi creano un gioco di claustrofobiche simmetrie. Drive, indossata la maschera, osserva dal di fuori. Tra i tanti rossi e bianchi, il “volto artificiale” si riflette nell’unico riquadro trasparente. Da questa posizione privilegiata, sicuro di non essere riconosciuto, il carnefice spia la sua prossima vittima.