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lunedì 13 agosto 2012

Un tram che si chiama desiderio






 
Un film di Elia Kazan
Con Marlon Brando, Vivien Leigh, Kim Hunter, Carl Malden
Titolo originale: A Streetcar Named Desire
Durata: 122 min.
Fotografia: Harry Stradling
Montaggio: David Weisbart
Musiche: Alex North
Scenografia: Richard Day, George James Hopkins
Usa 1951


di Chiara Roggino


“Sometimes, there's God, so quickly!”


La prima immagine è campo statico, fotografia in bianco e nero a presentarci una dimora fatiscente per una rampa di scale che conduce al secondo piano. A lato, in disparte, un lampione acceso a illuminare il quadro. Una scritta sovraimpressa sul grande schermo: New Orleans. Un lungo treno fa il suo ingresso in stazione. A far da sfondo, il traffico cittadino, il porto, taxi, rumore di autovetture in corsa. Tra nubi di vapore, sperduta tra la folla, si fa largo una donna bionda ed esile. Cappello e veletta, abito leggero, un fiore appuntato al petto. Nel mentre, una folla festosa insegue una coppia di sposi in partenza per la luna di miele.
1947: anno di svolta per il teatro americano, spartiacque di quel lungo procedimento di elaborazione subito dal metodo Stanislavskij negli Stati Uniti. E' il 3 dicembre quando all'Ethel Barrymore Theatre di New York va in scena “A streetcar named desire” di Tennessee Williams. La regia è affidata ad Elia Kazan e tra gli attori fa la sua entrata in scena un giovanissimo Marlon Brando. Kazan, formatosi presso il Group Theatre, era il miglior regista della sua generazione, dotato di una qualità rara: sapersi muovere con disinvoltura tra cinema e teatro. Williams e Kazan riuscirono in un'impresa non da poco: rappresentare lo smarrimento di una nazione vincitrice pervasa da profonde inquietudini. Sesso, violenza, malattia, patologia sono ritratti a tinte fosche, seppur all'interno vi si scorga la possibilità di rappresentare e rendere 'poetici' i propri mali, le disillusioni, le lacerazioni di strutture umane e sociali in disfacimento. Tra i numerosi volti a rappresentare gli anni cinquanta, emerge dalla massa lo Stanley Kowalski di Brando: non più assimilabile alle star degli anni '30 e '40, ma uomo scalfito, inquieto, dominato dagli istinti. Per questo più vicino alla vita. In seguito alla rivelazione-Brando, l'America eleggerà ad eroe un uomo con forti difficoltà a livello comunicativo, balbuziente, dotato tuttavia di una sensualità esplicita e conturbante, di un'inquietudine che trasuda attraverso gesti e sguardi. Parlando della messinscena cinematografica del 'Tram', Kazan affermò di essersi limitato a riprendere lo spettacolo. Ma basta riflettere, rileggendo le pagine di André Bazin sul rapporto tra cinema e teatro, per comprendere quanto l'elaborazione filmica messa in atto da Kazan mostri nell'immediato tutta la sua complessità. Dal punto di vista registico, passando dalle tavole del palcoscenico al set, il cineasta potrà interferire in modo più diretto sulla recitazione. E' lui a pilotare lo sguardo dello spettatore, a dar rilievo o meno a un gesto, uno sguardo, un'espressione del volto. E' lui a a stabilire rapporti e dinamiche tra protagonisti. Il film verrà girato quasi esclusivamente in studio. Le dimensioni della location dove hanno luogo le scene principali verranno ridotte poco alla volta per rendere sempre più claustrofobico lo spazio dell'azione, il dramma di Blanche. Ogni scena verrà dissezionata e provata in un 'falso set', costruito a fianco di quello reale. Le prove saranno dunque il momento in cui la collaborazione tra regista e performers potrà dare i suoi frutti migliori. Il film debutta nelle sale: è il 1951.
Kazan sfrutta il bianco e nero ad ottenere un gioco contrastato di drammatici chiaroscuri. I personaggi, tutti, sono immersi nelle tenebre: luogo e ambientazione ideale in cui si consumano i drammi personali dei protagonisti. Volti in primissimi piani, buio a celarne in parte i lineamenti, a tratteggiarne l'ambiguità esistenziale.
Tennessee Williams è tra i drammaturghi americani affermatisi con maggior successo sul piano internazionale. Nasce a Clombus, Mississipi, nel 1914. Opera d'esordio,“Battle of angels”: clamoroso insuccesso. Successivamente si trasferirà ad Hollywood in veste di sceneggiatore, senza riuscire a farsi un nome. Tuttavia qui stese l'opera che lo rese celebre: “The glass managerie”. A prescindere dalla resa artistica delle sue commedie, al loro interno, fil rouge, si ritrovano sincere e costanti tematiche. Così in “Un tram che si chiama desiderio”. New Orleans è l'ambientazione del dramma per quel Sud tanto caro all'autore. Temi fondanti: il sesso e la violenza. Una protagonista alcolizzata, ninfomane fino alla pazzia.
Il Sud favolistico di Williams dà vita a giovani segnati da irrequietezza e forte malessere personale, luogo surreale in cui l'uomo di ieri e di oggi celebra la sua decadenza e la sua caduta. Sono pagine marchiate di insanabile disperazione, da leggere ed elaborare nel tono d'amara elegia del disfacimento umano.
Scritturata per interpretare Blanche Du Bois, Vievien Leigh ( premio Oscar e altri prestigiosi riconoscimenti alle spalle), attrice britannica di solida formazione teatrale, instaurerà un ottimo rapporto umano-professionale con Brando. Avrà invece non pochi dissapori e innumerevoli incomprensioni con il maestro Kazan tanto che egli riconoscerà il suo talento d'interprete solo a riprese ultimate. In “A streetcar named desire” la Leigh si adeguerà al Metodo e a quanto esso comporta. Un assoluto annullamento di sé per penetrare nei meandri interiori del personaggio, per viverne la vita autentica. Ciò porterà ad una totale compenetrazione dell'attrice con l'eroina dipinta da Williams: Blanche, donna sola, abbandonata a se stessa, contaminata da un profondo malessere interiore che la condurrà lentamente alla follia. La protagonista vive aggrappata a un passato di amore puro, innocente, assoluto. Ella rimarrà ancorata, mente e corpo a quella sera: un colpo di rivoltella a infrangere sogni e speranze. La donna, in una disperata fame di affetto e comprensione umana, giungerà a concedersi a chiunque, quale mera prostituta, in un alberguccio di quart'ordine.
Forte, immortale nella storia nel cinema, si imprimerà negli occhi e nella mente dello spettatore la scena che vede protagonista il cosiddetto “monologo della Varsouviana”. "Un ragazzo, un bambino, ed io ero giovane giovane. Quando avevo sedici anni, mi innamorai di un ragazzo. Ma così, di colpo, e in un modo così pieno, totale! Come un faro acceso nella penombra all'improvviso, così si trasformò il mondo per me! Ma ero sfortunata. Fu un inganno. Lui aveva qualcosa di diverso, una sensibilità, una mollezza, delicatezza, che non era da uomo... Lui cercò aiuto da me. Ma io non sapevo...Io non capii niente... Sapevo solo di volergli un bene immenso...Poi, poco dopo il matrimonio, scoprii tutto. Nel modo più tremendo. Entrando in una stanza che credevo vuota... c'erano due persone a letto... il ragazzo che avevo sposato e un uomo più anziano che da anni era il suo amico... il suo amante. Dopo di che, facemmo finta di niente. Tutti e tre, quella sera stessa, andammo fuori a divertirci, a ballare, e per tutta la sera giù a ridere, a bere, a ballare, a ballare. Ballammo la Varsouviana! Poi ad un certo punto, nel mezzo del ballo, senza potermi frenare, mi era scappato detto 'Ho visto, ho visto tutto... mi fai schifo!'. Allora il giovane che avevo sposato si staccò da me e scappò via. Qualche momento dopo, uno sparo! Corsi fuori, tutti corsero fuori, gridavano 'Alan! Alan! Il giovane Grey!'… S'era infilato la rivoltella in bocca, e sparato, tanto che il cranio gli era schizzato via!... E allora il faro che s'era acceso sul mondo, si spense di nuovo e mai più per un solo istante da allora, ha brillato...".




 
Blanche racconta a Mitch (Carl Malden) il suo passato e l'antico amore che ne ha segnato il percorso. La figura eterea di donna si slancia verso il pontile davanti al mare. Poco alla volta, un'antica nenia proveniente da chissà dove, si anima il valzer a far da tappeto sonoro alle parole di lei. La Leigh si volta verso il suo interlocutore. Un movimento leggero, da farfalla, quasi un passo di danza: perfetto, fugace, da immortalare con la macchina da presa all'istante a rimarcare le straordinarie doti di un'attrice fuori classe, fuori dagli schemi.



Contrariamente al pensiero di Kazan e Williams, Brando si considerò sempre e totalmente inadatto al ruolo affidatogli. Il problema lo riguardava sia professionalmente che dal punto di vista personale. Nel corso degli anni, il divo si portò appresso, quasi un'ombra, il ruolo di un uomo rozzo, violento e infantile. Brando e Kowalski divennero così un unicum imprescindibile, per il pubblico e per lo stesso interprete. L'attore americano tenne sempre a sottolineare quanto egli fosse un uomo migliore del meccanico polacco scaturito dalla penna di Williams.
All'attore va comunque riconosciuta un'indiscussa abilità di performer nel proporre al pubblico un personaggio sfaccettato e irripetibile, protagonista negativo dotato di un fisico prorompente e di un volto regolare e bello, d'una sensualità tutta nuova. Brando regala al suo protagonista una voce biascicante e stentata, forse monotona a tratti, riuscendo a renderla credibile sul grande schermo tramite irruzioni di rabbia repentina che ne accentuano il volume. Il personaggio-Kowalski, ottuso e violento, diviene così un carattere permeato di maggiore umanità, più ambiguo e contraddittorio di quanto Williams avesse pensato agli esordi.