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giovedì 12 luglio 2012

Carnage








Un film di Roman Polanski
Con Jodie Foster, Kate Winslet, Cristoph Waltz, John C. Reilly
Titolo originale: Carnage
Genere: commedia
Soggetto: Jasmina Reza
Sceneggiatura: Roman Polanski, Jasmina Reza
Produzione: Said Ben Said, Oliver Berben, Martin Moszkowicz
Casa di produzione: SBS Productions, Costantin Film Produktion, SPI Poland
Distribuzione italiana: Medusa Film
Fotografia: Pawel Edelman
Montaggio: Hervé de Luze
Musiche: Alexandre Desplat
Scenografia: Dean Tavoularis
Costumi: Milena Canonero
Francia-Germania-Polonia-Spagna 2011


di Chiara Roggino



Sequenza A (Flashback: campo medio, effetto flou)
Un parco a Brooklyn. Esterno giorno.
Un confronto poco civile tra ragazzini annoiati. Il climax dell’alterco vede protagonisti Ethan Cowan e Zachary Longstreet. Per l’effetto flou sovracitato, faticheremo a riconoscerne volti e lineamenti. Conclusione: uno le mena e l’altro incassa.
Questa breve ed efficace sequenza d’esordio manifesta il “marchio di fabbrica” di un Polanski d’annata. Da “Il coltello nell’acqua” ( “Nóz w Wodzie”, 1962) , passando per “Rosemary’s baby” (1968) e “L’inquilino del terzo piano” ( “Le locataire “, 1976) si palesa la predilezione del cineasta polacco per asfittici microcosmi di immagini deformate e allucinatorie: la realtà esibita dall’entità narrante non è mai quello che sembra.
La lite tra bulli è realmente avvenuta? Polanski, sornione, strizza l’occhio ma non apre bocca.
Sequenza B.
Interno giorno. Abitazione dei Longstreet. Appeso alla parete, fa bella mostra di sé un grande specchio. Due finestre si affacciano sull’esterno rivelando una linea della metropolitana newyorkese, una delle tante. Sul tavolo un vaso traboccante tulipani: il signor Longstreet, sobillato da una pressante signora Logstreet, s’è alzato di buon’ora per fare acquisti. I signori Cowan sono stati invitati per quella che, a rigor di logica, dovrebbe essere una ‘riconciliazione’ pacifica e civile tra danneggiante e parte lesa ( Il piccolo Longstreet è stato menomato di due incisivi. Il giovane Cowan ha inferto il colpo con l’ausilio di un bastone).
Il signor Longstreet è un rivenditore di pentole e tegami. La signora Longstreet, scrittrice, ha dalla sua un’invidiabile coscienza sociale. E’ l’Africa a starle particolarmente a cuore, l’Africa e i drammi legati al Darfur, soprattutto.
Il signor Cowan, avvocato, desta attenzione per il morboso attaccamento dimostrato al proprio telefono cellulare.
La signora Cowan, broker finanziario, è chiaramente debole di stomaco. La signora Cowan dà di stomaco insozzando i preziosi manuali d’arte della signora Logstreet. Signore e signori il “massacro”, verbale, è servito.
Polanski concerta una polifonia di palpabile voyerismo: non sarà facile resistere alla tentazione di spiare attori ed eventi “dal buco della serratura”. Autore e spettatore si fondono tra loro originando un unico occhio di ripresa mobile: fulmineo nell’inseguire i personaggi nei loro spostamenti e peripezie emotive. Cosa si nasconde dietro ad una patina di finta rispettabilità e buone maniere?
La casa è sottosopra, uomini e donne si svelano loro malgrado, il cerone si disfa, lasciando trapelare il solo vuoto al di là delle apparenze.





Le dieu du carnage”, invocato da Polanski sugli astanti di una commedia al vetriolo che sembra ammiccare là dove sospinge agli inferi, è una divinità capricciosa. “Non si sa come” i coniugi Cowan, vanificando due tentativi di fuga dal campo di battaglia, saranno costretti a fare ritorno alla funesta dimora onde proseguire, veri e propri reclusi, “la civile conversazione”.
Così il finale di commedia si trasformerà in un dichiarato sberleffo al pubblico: qui, in questa stanza, le cose non cambieranno mai, sembra dirci l’autore. Il diverbio sarà eterno e nessuno si salverà. Nessuno è intoccabile. L’attacco alla middle class americana e la destrutturazione dei suoi valori fondanti ( famiglia in primis) trasfigura nell’acuto delinearsi di un unico prototipo umano ( o disumano) che non è vittima e non è carnefice, ma entrambi al medesimo tempo. Ogni tentativo di redimersi dalle proprie personali meschinità risulterà quindi vano se non risibile. “Ieri sera ho visto la sua amica Jane Fonda in tv. Dopo volevo comprare un poster del Ku Klux Klan” .
Tratto da “Le dieu du carnage” di Jasmina Reza, qui cosceneggiatrice insieme al regista, “Carnage”, fin dalla carta, lasciava presagire i sintomi di un’operazione filmica rischiosa. Polanski sarebbe stato in grado di dare corpo a un’opera di matrice prettamente letteraria, senza cadere negli stereotipi del teatro filmato? A fine ‘intervento’ possiamo affermare che sì.
Carnage” esula da ogni pedestre tentativo di messinscena filmica. Polanski, abile direttore d’orchestra, vivifica insieme un dramma da camera e una commedia grottesca dai ritmi serrati, potente e claustrofobica, per un quartetto di attori diretti magistralmente, superbi e insostituibili.
E’ sufficiente pronunciare il nome Jodie Foster per innescare un meccanismo che ha condotto (col passare del tempo, nel bene e nel male) a permutare semplici dati anagrafici in un marchio di sicurezza performativa a prescindere. Chi ha visto “Carnage” sarà lieto di trovarvi una Foster, ora più che mai degna foriera di tanto cognome. Dando vita a un calibrato excursus in crescendo, l’attrice sfaccetta il suo personaggio di falsi sorrisi, piccoli e grandi tic, moti violenti e isterie patologiche. La rassicurante padrona di casa degli esordi si trasformerà in arpia strillante, maschera deformata dai lineamenti stravolti. Non ci stupiranno le sue farneticazioni da ubriaca mentre brandisce un bicchiere di whisky o catapulta per aria la borsetta di una sempre più afflitta signora Cowan.
Kate Winslet è praticamente perfetta. Ricercata nel trucco e nell’abbigliamento, la signora Cowan incarna l’aplomb dell’impeccabile madre di famiglia. Tuttavia, come ci fa notare la Reza e Polanski tramite lei, le apparenze ingannano.
L’attrice di Reading inanella davanti ai nostri occhi un’interpretazione fatta di particolari impercettibili, una gestualità inizialmente minima, nervosa e controllata: sono piccoli aggiustamenti alle pieghe dell’abito, suo e del conosorte, mani a sistemare l’acconciatura, fugaci ritocchi di maquillage.
Basterà un niente, un dolce mal digerito, quel nervosismo trattenuto a stento per farle dare di stomaco in un espellere di rabbia, frustrazioni coniugali represse e acredine incondizionata verso il prossimo. In “Carnage” tutti, nessuno escluso, vantano una certa supremazia morale, tale da percepirsi immancabilmente un gradino più in alto rispetto al proprio vicino di sofà.
Tuttavia non tutti conducono lo “spogliarello morale” per gradi, procedendo fino a un’esplosione di ferocia incontrollata. Il signor Cowan fa eccezione. In questo risiede la grandezza di Cristoph Waltz. Una recitazione perfettamente controllata per un sapiente uso di maschera: sguardi taglienti , di commiserazione o rimprovero, quell’ imperante sarcasmo fatto di sorrisi appena accennati, un aggrottar di fronte, una piega del labbro. La voce dell’attore è una cantilena apparentemente monocorde, il personaggio parla e risponde per monosillabi. La sua carica erotica e passionale si espleterà negli estenuanti monologhi al cellulare, cordone ombelicale e feticcio salvavita del quale verrà privato solo a fine pellicola.
Tramite un riuscitissimo coup de théâtre, il tanto amato blackberry verrà rapito dalla signora Cowan per essere brutalmente affogato in un vaso di tulipani.
John Reilly ci offre una performance condita di adorabile sarcasmo. Il signor Longstreet, apparente zerbino della propria consorte, si rivelerà il più cinico tra gli uomini, strenuo sostenitore dell’assoluta inutilità del sacramento matrimoniale, ai suoi occhi percepito come morbo insanabile.
Tanta e preziosa recitazione di alto livello fa di “Carnage” un film da assaporare rigorosamente in lingua originale.
Il film, uscito nelle sale italiane il 16 settembre, conta tutti i difetti di un doppiaggio diretto ed eseguito per una coralità di performances asettiche, stereotipate e proforma. Chi ha assistito alla prima veneziana della commedia, faticherà a riconoscere i protagonisti cui si era tanto affezionato. In particolare sembra che Angelo Maggi ( voce di Cristoph Waltz) si appigli al sarcasmo menefreghista del suo personaggio per giustificare una recitazione fastidiosamente “scollata”, monocorde e fuori luogo. Così Laura Boccanera ( un nome che dovrebbe essere una garanzia) snatura la prova della Foster in un accumulo di isteria imperante e fasulla, appiattendo una performance di piroette e scarti emotivi, ricca e irripetibile.