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sabato 29 settembre 2012

Rosemary's baby





Un film di Roman Polanski
Con Mia Farrow, John Cassavetes, Ruth Gordon,Sidney Blackmer, Maurice Evans
Genere: thriller/horror
Durata 136 min.
Soggetto: Ira Levin ( romanzo)
Sceneggiatura: Roman Polanski
Produzione: William Castle
Fotografia: William Fraker
Montaggio: Sam O'Steen, Bob Wyman
Musica: Krzysztof Komeda
Scenografia: Richard Sylbert
USA 1968

di Chiara Roggino


Una lenta panoramica a indagare il cielo di New York: piano sequenza sui tetti della Big Apple, alberi, giardini. E d'un tratto la cinepresa imbocca una direzione nuova. Lenta discesa verso il basso a inquadrare il Branford, luogo di fantasmi e stregonerie, claustrofobiche allucinazioni. Una "doppia scrittura" a livello registico-narrativo quella di Roman Polanski per Rosemary's baby per una duplice interpretazione affidata allo spettatore. I mostri, spettri invocati dalla fantasia del regista sono frutto di una messinscena oggettiva o mere proiezioni soggettive di Rosemary ( Mia Farrow)? Un incastro di oggettività e soggettività fuse assieme quello allestito dal cineasta polacco. E' questo a suscitare nel pubblico quel surplus di claustrofobica angoscia e terrore. Labilità tra verosimile e inverosimile. Roman Polanski: nomade, cosmopolita. Urge in lui la necessità di andare alla ricerca di uno standard tecnico-produttivo d'altro livello per dare vigore nuovo all'attività di un instancabile fautore per idee sempre nuove. Hollywood è il luogo in cui tutto ciò si concreta. Rosemary's baby, pellicola di labile inserzione in un genere ben definito (definirlo horror sarebbe a dir poco riduttivo), esce nelle sale nel 1968. Il film diviene inevitabilmente un simbolo di quel cambiamento irreversibile messo in atto a fine anni sessanta. Una nuova era spalancava allora le sue porte per un mutamento sociale di non sottovalutabile importanza. Il merito da attribuire a Polanski è quello di descrivere in maniera più che coraggiosa l'occultismo insito nella società altolocata di New York. La location, il Dakota (il Branford nel film) è un edificio vero, in mattoni e calcina. Ai suoi tempi il palazzo attirò elementi eccentrici dell'alta società newyorkese. La congrega malefica che complotta alle spalle di Rosemary non è composta da streghe o individui mostruosi, ma da persone distinte e medici prestigiosi (da rimarcare la prova d'attrice di Ruth Gordon, strepitosa ed eclettica, vincitrice di un oscar, nelle vesti della fin troppo premurosa vicina: Minnie Castevet).






Voci insistenti (per lo più documentate) dichiarano che Anton La Vey, fondatore della Chiesa di Satana, avesse ricoperto all'interno del percorso filmico il cameo di Satana in persona durante la scena dell'amplesso e che si fosse inoltre reso disponibile in qualità di consulente per la realizzazione dell'opera. Ma La Vay rimase collegato all'aura misteriosa che avvolge Rosemary's baby per un altro motivo: Susan Atkins, membro della famiglia Manson che contribuì al raccapricciante omicidio di Sharon Tate (allora giovane moglie di Polanski) era una ex seguace di La Vey. Il sangue: tema riproposto dal cineasta più e più volte, in maniera morbosa, insistente. Rosemary teme di fare un semplice prelievo laddove sarà nel dubbio di essere incinta. E ancora la parola sangue (blood) ad essere segnata sul calendario dalla protagonista come memorandum per la visita medica successiva. Lo stesso nome della vittima prescelta dalla congrega allude visibilmente a un fiore: la rosa, rosa rossa così come i vasi regalati dal marito Guy (John Cassavetes) traboccheranno di rose sanguigne. E ancora rosso il colore dall'abito indossato dalla donna la notte del concepimento maledetto. Rosso a marchiare il corpo nudo della protagonista durante il sabba. Il Branford, da edificio luminoso alla luce delle riprese d'inizio pellicola si farà poco alla volta sempre più tetro e claustrofobico. Prendiamo in esame la scena in cui Rosemary e Guy passano la loro prima notte nell'appartamento. Dalla finestra si intravedono sagome oscure di palazzi ed edifici fatiscenti (palese richiamo a L'inquilino del terzo piano). La protagonista sarà allora ripresa dalla vita in giù (ad essere inquadrate solo le gambe) mentre si avvicina al ripostiglio (quasi un sentore minaccioso di quello che avverrà in seguito).






Quella che potremmo definire vittima sacrificale è chiara rappresentazione di quella società tradizionale e ingenua dell'America tra gli anni cinquanta e sessanta (traboccante ideali e speranze). Ma eventi scioccanti lasciarono il marchio nell'opinione pubblica: la misteriosa morte di JFK, Marilyn Monroe e Martin Luther King. Orribili omicidi rituali ad opera di Manson e del Figlio di Sam provocarono paura e orrore. Un importante cambiamento nella vita culturale americana, insomma. Rosemary's baby scopre le carte del funzionamento di una congrega di streghe internazionale, la società americana scopre il lato oscuro della sua attività politica interna. Il film mescola sapientemente iconografia cattolica e satanica. Il magistrale piano sequenza allucinatorio della Cappella Sistina durante il rito, l'apparizione di un fantomatico pontefice che porge alla protagonista la mano da baciare (ma al dito indossa lo stesso ciondolo contenente radice di tanis).
Rosemary, recatasi al poi mancato appuntamento con Hutch (Maurice Evans) contemplerà una vetrina in cui è stato allestito un presepe (Maria e Gesù tra le braccia). Rose-Mary: la Vergine trasfigurata da Polanski in madonna nera.




Impressionante sarà il mutamento, trasformazione fisico-psichica della protagonista nonché della Farrow all'interno del film. E' risaputo che la donna, allora sposata con Frank Sinatra, ricevette sul set le carte del divorzio. La cosa la sconvolse a tal punto che Polanski temette per un mancata conclusione di riprese. Fu la stessa Farrow a tagliarsi maldestramente i capelli in un raptus di autolesionismo. Allora venne chiamato con urgenza il famoso coiffeur delle dive Vidal Sasoon che fece quel che poté per aggiustare una capigliatura all'ultimo stadio. "La mia intenzione è quella di criticare una società come ne Il coltello nell'acqua", dirà Polanski. E ancora "Questo è quello che vorrei fare e dire tramite i miei film. Ad interessarmi non sono gli aspetti metafisici. No. Essi sono per me solo temi affascinanti e divertenti, come lo sono per i bambini. Se non dico nulla di importante nei miei film è perché mi risulta troppo difficile esprimerlo in pellicola. Se so cosa voglio dire, la dico". Un aneddoto divertente all'interno della lavorazione del film. Quando Rosemary chiama il collega del marito, rimasto cieco in seguito ad una fattura, la voce dall'altra parte della cornetta sarà quella di Tony Curtis. La Farrow non sapeva chi avrebbe risposto al telefono, per questo dimostrò una leggera confusione nel sentire una voce familiare non bene identificata. Questo era esattamente l'effetto ricercato da Polanski. Rosemary's baby, capolavoro assoluto nella storia del cinema. Poco importano le definizioni. Che sia un film horror o meno, rimarrà una pellicola sempre pronta ad inquietare spiazzando lo spettatore dalla prima all'ultima scena, visione dopo visione.




 

giovedì 12 luglio 2012

Carnage








Un film di Roman Polanski
Con Jodie Foster, Kate Winslet, Cristoph Waltz, John C. Reilly
Titolo originale: Carnage
Genere: commedia
Soggetto: Jasmina Reza
Sceneggiatura: Roman Polanski, Jasmina Reza
Produzione: Said Ben Said, Oliver Berben, Martin Moszkowicz
Casa di produzione: SBS Productions, Costantin Film Produktion, SPI Poland
Distribuzione italiana: Medusa Film
Fotografia: Pawel Edelman
Montaggio: Hervé de Luze
Musiche: Alexandre Desplat
Scenografia: Dean Tavoularis
Costumi: Milena Canonero
Francia-Germania-Polonia-Spagna 2011


di Chiara Roggino



Sequenza A (Flashback: campo medio, effetto flou)
Un parco a Brooklyn. Esterno giorno.
Un confronto poco civile tra ragazzini annoiati. Il climax dell’alterco vede protagonisti Ethan Cowan e Zachary Longstreet. Per l’effetto flou sovracitato, faticheremo a riconoscerne volti e lineamenti. Conclusione: uno le mena e l’altro incassa.
Questa breve ed efficace sequenza d’esordio manifesta il “marchio di fabbrica” di un Polanski d’annata. Da “Il coltello nell’acqua” ( “Nóz w Wodzie”, 1962) , passando per “Rosemary’s baby” (1968) e “L’inquilino del terzo piano” ( “Le locataire “, 1976) si palesa la predilezione del cineasta polacco per asfittici microcosmi di immagini deformate e allucinatorie: la realtà esibita dall’entità narrante non è mai quello che sembra.
La lite tra bulli è realmente avvenuta? Polanski, sornione, strizza l’occhio ma non apre bocca.
Sequenza B.
Interno giorno. Abitazione dei Longstreet. Appeso alla parete, fa bella mostra di sé un grande specchio. Due finestre si affacciano sull’esterno rivelando una linea della metropolitana newyorkese, una delle tante. Sul tavolo un vaso traboccante tulipani: il signor Longstreet, sobillato da una pressante signora Logstreet, s’è alzato di buon’ora per fare acquisti. I signori Cowan sono stati invitati per quella che, a rigor di logica, dovrebbe essere una ‘riconciliazione’ pacifica e civile tra danneggiante e parte lesa ( Il piccolo Longstreet è stato menomato di due incisivi. Il giovane Cowan ha inferto il colpo con l’ausilio di un bastone).
Il signor Longstreet è un rivenditore di pentole e tegami. La signora Longstreet, scrittrice, ha dalla sua un’invidiabile coscienza sociale. E’ l’Africa a starle particolarmente a cuore, l’Africa e i drammi legati al Darfur, soprattutto.
Il signor Cowan, avvocato, desta attenzione per il morboso attaccamento dimostrato al proprio telefono cellulare.
La signora Cowan, broker finanziario, è chiaramente debole di stomaco. La signora Cowan dà di stomaco insozzando i preziosi manuali d’arte della signora Logstreet. Signore e signori il “massacro”, verbale, è servito.
Polanski concerta una polifonia di palpabile voyerismo: non sarà facile resistere alla tentazione di spiare attori ed eventi “dal buco della serratura”. Autore e spettatore si fondono tra loro originando un unico occhio di ripresa mobile: fulmineo nell’inseguire i personaggi nei loro spostamenti e peripezie emotive. Cosa si nasconde dietro ad una patina di finta rispettabilità e buone maniere?
La casa è sottosopra, uomini e donne si svelano loro malgrado, il cerone si disfa, lasciando trapelare il solo vuoto al di là delle apparenze.





Le dieu du carnage”, invocato da Polanski sugli astanti di una commedia al vetriolo che sembra ammiccare là dove sospinge agli inferi, è una divinità capricciosa. “Non si sa come” i coniugi Cowan, vanificando due tentativi di fuga dal campo di battaglia, saranno costretti a fare ritorno alla funesta dimora onde proseguire, veri e propri reclusi, “la civile conversazione”.
Così il finale di commedia si trasformerà in un dichiarato sberleffo al pubblico: qui, in questa stanza, le cose non cambieranno mai, sembra dirci l’autore. Il diverbio sarà eterno e nessuno si salverà. Nessuno è intoccabile. L’attacco alla middle class americana e la destrutturazione dei suoi valori fondanti ( famiglia in primis) trasfigura nell’acuto delinearsi di un unico prototipo umano ( o disumano) che non è vittima e non è carnefice, ma entrambi al medesimo tempo. Ogni tentativo di redimersi dalle proprie personali meschinità risulterà quindi vano se non risibile. “Ieri sera ho visto la sua amica Jane Fonda in tv. Dopo volevo comprare un poster del Ku Klux Klan” .
Tratto da “Le dieu du carnage” di Jasmina Reza, qui cosceneggiatrice insieme al regista, “Carnage”, fin dalla carta, lasciava presagire i sintomi di un’operazione filmica rischiosa. Polanski sarebbe stato in grado di dare corpo a un’opera di matrice prettamente letteraria, senza cadere negli stereotipi del teatro filmato? A fine ‘intervento’ possiamo affermare che sì.
Carnage” esula da ogni pedestre tentativo di messinscena filmica. Polanski, abile direttore d’orchestra, vivifica insieme un dramma da camera e una commedia grottesca dai ritmi serrati, potente e claustrofobica, per un quartetto di attori diretti magistralmente, superbi e insostituibili.
E’ sufficiente pronunciare il nome Jodie Foster per innescare un meccanismo che ha condotto (col passare del tempo, nel bene e nel male) a permutare semplici dati anagrafici in un marchio di sicurezza performativa a prescindere. Chi ha visto “Carnage” sarà lieto di trovarvi una Foster, ora più che mai degna foriera di tanto cognome. Dando vita a un calibrato excursus in crescendo, l’attrice sfaccetta il suo personaggio di falsi sorrisi, piccoli e grandi tic, moti violenti e isterie patologiche. La rassicurante padrona di casa degli esordi si trasformerà in arpia strillante, maschera deformata dai lineamenti stravolti. Non ci stupiranno le sue farneticazioni da ubriaca mentre brandisce un bicchiere di whisky o catapulta per aria la borsetta di una sempre più afflitta signora Cowan.
Kate Winslet è praticamente perfetta. Ricercata nel trucco e nell’abbigliamento, la signora Cowan incarna l’aplomb dell’impeccabile madre di famiglia. Tuttavia, come ci fa notare la Reza e Polanski tramite lei, le apparenze ingannano.
L’attrice di Reading inanella davanti ai nostri occhi un’interpretazione fatta di particolari impercettibili, una gestualità inizialmente minima, nervosa e controllata: sono piccoli aggiustamenti alle pieghe dell’abito, suo e del conosorte, mani a sistemare l’acconciatura, fugaci ritocchi di maquillage.
Basterà un niente, un dolce mal digerito, quel nervosismo trattenuto a stento per farle dare di stomaco in un espellere di rabbia, frustrazioni coniugali represse e acredine incondizionata verso il prossimo. In “Carnage” tutti, nessuno escluso, vantano una certa supremazia morale, tale da percepirsi immancabilmente un gradino più in alto rispetto al proprio vicino di sofà.
Tuttavia non tutti conducono lo “spogliarello morale” per gradi, procedendo fino a un’esplosione di ferocia incontrollata. Il signor Cowan fa eccezione. In questo risiede la grandezza di Cristoph Waltz. Una recitazione perfettamente controllata per un sapiente uso di maschera: sguardi taglienti , di commiserazione o rimprovero, quell’ imperante sarcasmo fatto di sorrisi appena accennati, un aggrottar di fronte, una piega del labbro. La voce dell’attore è una cantilena apparentemente monocorde, il personaggio parla e risponde per monosillabi. La sua carica erotica e passionale si espleterà negli estenuanti monologhi al cellulare, cordone ombelicale e feticcio salvavita del quale verrà privato solo a fine pellicola.
Tramite un riuscitissimo coup de théâtre, il tanto amato blackberry verrà rapito dalla signora Cowan per essere brutalmente affogato in un vaso di tulipani.
John Reilly ci offre una performance condita di adorabile sarcasmo. Il signor Longstreet, apparente zerbino della propria consorte, si rivelerà il più cinico tra gli uomini, strenuo sostenitore dell’assoluta inutilità del sacramento matrimoniale, ai suoi occhi percepito come morbo insanabile.
Tanta e preziosa recitazione di alto livello fa di “Carnage” un film da assaporare rigorosamente in lingua originale.
Il film, uscito nelle sale italiane il 16 settembre, conta tutti i difetti di un doppiaggio diretto ed eseguito per una coralità di performances asettiche, stereotipate e proforma. Chi ha assistito alla prima veneziana della commedia, faticherà a riconoscere i protagonisti cui si era tanto affezionato. In particolare sembra che Angelo Maggi ( voce di Cristoph Waltz) si appigli al sarcasmo menefreghista del suo personaggio per giustificare una recitazione fastidiosamente “scollata”, monocorde e fuori luogo. Così Laura Boccanera ( un nome che dovrebbe essere una garanzia) snatura la prova della Foster in un accumulo di isteria imperante e fasulla, appiattendo una performance di piroette e scarti emotivi, ricca e irripetibile.